Tratto dalla Sicilia del 6 Novembre

Articolo di Carmelo Riccotti La Rocca e Martina Chessari

La video-inchiesta, intitolata “Anch’io vado a Scuola”, sarà  presentata giorno 20 novembre a Vittoria in occasione della giornata internazionale per i diritti dell’infanzia.

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L’articolo

“C’era una volta una bambina che con mamma e papà andò in un bosco per cercare da mangiare. Poi i genitori decisero che la bambina andasse a Scuola……la bambina era felice”. Questo è uno dei tanti racconti, di una bambina rumena portata in Italia dai genitori in cerca di un lavoro e finiti nella rete dello sfruttamento lavorativo e del caporalato. Nei racconti di questi bambini il bosco c’è sempre, come ad indicare un ostacolo insormontabile, come costante è la ricerca di cibo e di serenità. Qualcuno adesso nei racconti aggiunge la Scuola, come un traguardo importante, una conquista e una speranza di cambiamento. Lo scenario è quello di Acate, a pochi passi dalla più grande e popolata città di Vittoria, un paesaggio caratterizzato da chilometri e chilometri di serre, alcune dismesse, che tolgono perfino colore a quella che potrebbe essere una suggestiva vista del mar mediterraneo.

Un paesaggio violentato, ma ormai nessuno ci fa più caso, d’altro canto rappresentano la fonte economica più importante per il territorio. Acate, come Vittoria, è tristemente nota per le vicende di cronaca legate al caporalato, qui arrivano migliaia di famiglie rumene che poi vivono nell’ombra, di loro non si sa nulla, se non che vivono in vere e proprie catapecchie pagate paradossalmente come case normali e che interi nuclei familiari lavorano nelle serre. Ad entrare in quelle aree si fa davvero fatica, sono case nascoste da una fitta campagna, dalle strade principali è impossibile vederle, per raggiungerle occorre attraversare chilometri di trazzere dove attorno si vedono distese di serre e campi. In una casa vivono interi nuclei familiari, anche più di 10 persone, intorno c’è solo sporcizia e miseria, manca l’acqua, la luce e i servizi essenziali. Le comodità si pagano a parte e già l’affitto medio delle abitazioni è di 300/400 euro. Se si chiede di avere la luce e l’acqua si può perfino arrivare a pagare oltre 500 euro. I bagni sono delle vere e proprie latrine e, nella maggior parte dei casi, si trovano all’esterno delle abitazioni. Box che, ad andare bene, hanno la dimensione di un metro per due e che sono sporchissimi e indecenti (vedi foto).




Se si chiede ad un capostipite di una famiglia rumena il perché non valuti l’ipotesi di lasciare quella casa e affittarne una in centro a Vittoria dove sicuramente pagherebbe meno avendo più comfort, la risposta è che la sua preoccupazione è quella di uscire dal giro, di smettere di lavorare (anche perché, molto spesso, i proprietari italiani delle serre oltre al lavoro pretendono che i lavoratori facciano anche da guardiani dei loro appezzamenti di terra durante la notte). Il tramite tra il proprietario delle serre e il lavoratore è il caporale che può essere italiano, uno del luogo, ma che spesso ci dicono essere un rumeno che si è fatto le ossa in Italia e che ha gli agganci, per così dire, giusti. Sovente il caporale recluta direttamente i lavoratori in Romania e poi li guida nel percorso in Sicilia. È lui che la mattina va a prendere i lavoratori nelle case facendosi dare 5 euro a testa per portarli a lavoro.

“Se abbiamo bisogno di andare in ospedale o fare una visita medica a Vittoria o Ragusa – dice una donna rumena – chiamiamo sempre lui e arriviamo a spendere anche 50 euro solo per il trasporto”. Nessuno denuncia per paura di ritorsioni o di uscire dal giro. Adele (sempre nome inventato) è una ragazzina, non avrà nemmeno 18 anni, è incinta e ha bisogno di continue visite mediche. Se non fosse per il servizio espletato dalla Proxima, molto probabilmente, non avrebbe fatto alcun controllo, troppo costoso farsi accompagnare frequentemente al consultorio o in Ospedale. In tutto questo in mezzo ci sono i bambini. Silvia (nome inventato) ha 11 anni e non sa nemmeno cosa sia l’infanzia, così piccola deve già badare alla casa, è proprio lei che quando torna da scuola si mette a cucinare per tutta la famiglia. Lei non vuole tornare in Romania, ma stare in Italia e andare a Scuola per poter fare un giorno la parrucchiera o forse l’insegnante. Per loro la Scuola rappresenta un momento di diversivo rispetto alla vita che sono costretti a fare, una speranza per il futuro. Alcuni di loro, purtroppo non tutti, sono rientrati in un progetto finanziato dalla Chiesa Valdese, grazie all’otto per mille e portato avanti dalla Cooperativa Proxima, finalizzato a favorire la scolarizzazione dei figli delle famiglie rumene che lavorano nella fascia trasformata.

Una delle prime a comprendere l’importanza del progetto e ad aprire le porte di un istituto scolastico a questi bambini, è stata Vittoria Lombardo, dirigente dell’Istituto comprensivo Giovanni XXIII di Vittoria. “Al momento – dice la dirigente – abbiamo 16 ragazzini che vanno dai 3 a 14 anni, abbiamo inserito i bambini più piccoli nella Scuola dell’infanzia, mentre per quelli più grandi abbiamo creato la classe dell’accoglienza di scuola primaria e secondaria. Pian piano abbiamo poi provveduto all’inserimento di questi bambini all’interno delle classi avviando il processo di integrazione. Vorremmo che questo servizio possa estendersi per dare la possibilità sempre a più bambini di fruire del diritto allo studio”. “Siamo coscienti – dice Michele, operatore sociale – che sono centinaia i bambini rumeni, e di altre etnie, che non conosciamo e che rimangono a casa, ma con i nostri piccoli mezzi facciamo quello che possiamo”. Il lavoro di Michele non si limita solo a prendere i bambini e portarli a Scuola, ma negli anni è riuscito ad acquisire la fiducia delle famiglie, cerca di capire se hanno bisogno di qualcosa, (come cibo, vestiti, accompagnamenti in ospedale, ecc..). “I bambini – dice ancora Michele – amano andare a Scuola e sono perfettamente integrati, ma a volte sorgono delle criticità che possono essere rappresentate dal fatto che non hanno i soldi per comprare il panino, quindi non vengono, o ancora che dei bambini devono sopperire all’assenza dei genitori dovendo badare ai più piccoli. Parliamo di ragazzini che hanno al massimo 12 anni a cui viene data la responsabilità di stare attenti ai fratellini”.

Ogni mattina l’ingresso nel pulmino della Proxima è un vero e proprio rito, ognuno ha il proprio posto e l’ambizione è quella di stare davanti accanto all’autista, un privilegio che viene concesso a turno.

Il percorso verso Scuola è anche un momento per comprendere le difficoltà di questi ragazzini. Sovente ognuno di loro racconta una storia dice quello che vorrebbe fare da grande. La stragrande maggioranza dei maschietti dice di voler fare il carabiniere o il poliziotto, mentre le ragazzine sognano altro e manifestano il desiderio di un futuro sereno in Italia.

Molti di questi bambini sono stati poi integrati anche in attività extrascolastiche grazie alla Caritas.  Marina di Acate in inverno sembra un deserto, tutte le case chiuse e nessuno per strada a parte i lavoratori delle serre.

Qui, proprio a pochi passe dal mare, è sorto il presidio della Caritas che funge da centro di ascolto, ma anche come punto di riferimento per la distribuzione di beni alimentari, vestiti, assistenza medica e legale. “Abbiamo iniziato – ci spiega Vincenzo La Monica, responsabile immigrazione Caritas di Ragusa – cercando di perlustrare la zona facendoci conoscere e, soprattutto facendo sapere agli immigrati della nostra presenza. In tre anni – continua La Monica – tra magrebini e rumeni abbiamo incontrato circa 1200 persone. Non siamo riusciti a censirli tutti, ma possiamo dire con certezza che in un territorio così piccolo, vivono migliaia di persone spesso sconosciute all’anagrafe. L’integrazione tra magrebini e rumeni – ci spiega ancora La Monica – non è affatto semplice perché i primi vedono i rumeni come gli artefici del fallimento del loro progetto migratorio. I magrebini vivono in zona da almeno 20 anni con una buona integrazione e anche una discreta sindacalizzazione, ma si sentono minacciati dai nuovi lavoratori rumeni che accusano di rubargli il lavoro”. Ogni settimana nel presidio della Caritas arriva un medico per visitare chi ne ha bisogno. “Facciamo – dice ancora il responsabile della Caritas – circa 20 visite a settimana, registriamo di più problemi legati alle condizioni abitative e lavorative, come mal di schiena bronchite ecc, ma quello che ci preoccupa di più è aver appurato tantissimi casi di mal nutrizione, un fenomeno che pensavamo fosse superato”. “Individuare i rumeni che si stanziano in quelle aree – spiega Peppe Scifo, segretario della CIGIL Ragusa, non è affatto semplice, perche queste famiglie arrivano qui senza neanche passare dal centro urbano e vengono portati direttamente nelle campagne. Grazia alla legge sul caporalato abbiamo più strumenti – dice Scifo – ma serve un’azione più incisiva degli organi preposti come l’Ispettorato del Lavoro e L’Inps”.

In realtà negli ultimi mesi dalla Questura e dal Comando Provinciale dei Carabinieri sono state effettuate diverse operazioni finalizzate al contrasto del caporalato.

Diversi blitz effettuati dalle forze dell’ordine in collaborazione con l’ispettorato del lavoro hanno portato alla luce alcune situazioni di sfruttamento lavorativo e umano con lavoratori sottopagati costretti a vivere in abitazioni fatiscenti.

Durante il periodo della nostra inchiesta i ragazzini rumeni sono stati coinvolti in uno spettacolo teatrale intitolato “Serrenentola”, una sorta di rivisitazione della fiaba che, per l’occasione, è stata ambientata in una serra con una piccola rumena che da serva fa innamorare il principe azzurro cambiando radicalmente la propria vita. Una storia che dà speranza e che vuole essere uno stimolo per questi ragazzini che, in fondo, vogliono godere di un diritto sacrosanto: essere bambini come tutti gli altri.