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Certo, che Scicli non fosse il paradiso di coloro che catalogano le personali preferenze musicali tra Bela Bartok e Kamasi Washington lo si sapeva, come del resto è chiaro che il sottoscritto non è l’ultimo degli epigoni di Pietro Citati, tuttavia – forse – abbiamo corso seriamente il rischio di convincerci di cose “che non sono”. Senza troppi fronzoli e premesse, abbandonando la seducente retorica della sequela di elenchi in litote – del resto assicuro il lettore che a lungo ho mantenuto l’animo sospeso nel contrasto se scriverne o meno – mi sto accingendo a esprimere la mia opinione in merito alle canzoni napoletane rivelate sul sagrato della chiesa della Consolazione. Ovviamente non ero presente, per snobbismo in parte, ma soprattutto perché tendo a evitare Scicli da Giugno (anche ciò per snobbismo? In effetti qualcuno potrebbe dire: ma cu ti voli? Va bene anche così, poiché tutti restiamo individualmente lieti, chi non mi vuole da una parte, e io che mi voglio dall’altra). Nel periodo estivo ritengo sia meglio lasciare il paese a se stesso, o per meglio dire (è veramente meglio?) nelle mani degli operatori turistici, augurandogli quei grassi guadagni che sicuramente nessuno gli sta negando. Se la sbrighino loro. Quindi io non c’ero, ma ho sentito qualcuno parlarne in spiaggia, e – ahimè! – qualcosa ho letto sui siti di informazione locali e sui social. Un tripudio di critiche, vituperi, e anatemi. Addirittura stupore, da parte di alcuni, e tristi profezie su un oscuro futuro. Sarò onesto, mi paiono tutte codeste interpretazioni della e sulla “mentola”. Insomma, fatemi capire, in questo contesto giulivo di democrazia partecipata, nell’ambizione della politica del diretto intervento individuale (uno vale uno, etc, etc …), un concerto per trombone e piffero sarebbe andato bene mentre il neomelodico è da bandire? E chi sarebbero, or dunque, questi censori pubblici o esteti sacerdoti del buon gusto che han da imporre il loro filtro propedeutico alle manifestazioni ludiche? O altrimenti qualcuno vorrebbe lasciar intendere, con malcelato elitarismo (altro che il mio snobbismo da due soldi), che gli spettacoli possono essere allestiti solo da alcuni e altri proprio non possono? Capiamoci, esiste una norma generale, anche di decoro se vogliamo, che vieta talune manifestazioni le quali possano produrre danno al buon costume, all’ordine pubblico, o possano arrecare nocumento alla salute pubblica. Ma qui non mi pare che la napoletanità raggiunga ancora queste vette, o se le raggiunge sono il primo ad allarmarmi e pretendere che si prendano decisioni drastiche in Campania. Che l’esercito presidi gli studi di registrazione partenopei, mandiamo Gigi D’Alessio al Confino, e così via.

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Approfondisco ancora un po’, poiché non solo qui si vorrebbe censurare il gusto personale di chi in area di libero mercato voglia legalmente proporre la propria impresa ludica, c’è pure dell’altro, di potenziale gravità maggiore persino. L’aspetto che mi lascia interdetto è in verità quello che si correla alla fonte particolare da cui questa volta è arrivata la proposta di intrattenimento-spettacolo. Non una elite culturale, non un circolo letterario o una associazione dal respiro tardoborghese, bensì una sorta di rappresentanza popolare. Quel popolo che ha sempre ragione. La fonte medesima di gran parte di quegli eventi culturali caratterizzanti l’offerta turistica locale, per intenderci in soldoni. Vien da chiedersi, allora, se questo popolo è buono solo a far divertire gli altri. Lo prendiamo per buono se fa follie col simulacro in spalla, o invade le vie cittadine di equini bardati, per la gioia e il visibilio dei forestieri in visita. Poi, sempre questo popolo, se decide di far festa per sé, oltre che per gli altri, non va più bene. Qualcuno potrebbe lamentare ancora una volta i gusti musicali, nel caso specifico “poco appropriati e per nulla consoni alle ambizioni di grandeur”. Ma non trovo altra risposta che questa: ognuno ha il retroterra culturale che si merita. E così occorre svegliarci al più presto dai sogni dorati, col brutto presentimento che Scicli non è mai divenuto quel Parnaso agognato dai nasi sopraffini dei sottoscala in affitto. E se lo fosse malgrado tutto? O, a voler cercare un simbolo più appropriato, se Scicli fosse un arcadico ambiente costituito di variopinti colori spontanei, di barbara costumanza ma anche di inaspettate trovate geniali, allegoria vivente di una condizione cittadina, non a metà, ma altalenante tra l’orrido e il sublime? È probabile che sia così, la spontaneità popolare ha sempre salvato il paese. Riguardo gli upgrade culturali del popolo, in ogni caso, per chi fosse interessato tra i commentatori di facebook o i siti di informazione, si dovrebbe invece volgere lo sguardo lungo quell’or(r)izzonte dimenticato delle istituzioni di politica educativa. Se la sbrighino loro anche questa volta.

Un’ultima breve riflessione, sulle feste per gli sciclitani organizzate da sciclitani (ben vengano!), la voglio proporre in riguardo a Cava d’Aliga (amena località costiera avulsa dai meccanismi del turismo oppressivo dell’area montalbanica e barocca. Ma Scicli è barocca o balocca?, un amico mi suggerisce la dirimente questione). Quest’anno alcuni privati hanno spesso allietato le serate e i pomeriggi con eventi – spesso no-profit – e manifestazioni sportive di varia natura. Lo sport è il miglior coagulante in questa società alla deriva, prima lo capiscono, i futuri amministratori, meglio è. Un ringraziamento è dovuto a tutti coloro i quali si sono impegnati in tal senso. A Cavalarica siamo stati bene, molto bene. Sono ancora indeciso se è possibile andare oltre senza insistere troppo sulla forzatura dei cavalli sulla spiaggia in notturna. La bacchettata, sia chiaro, non è certo di carattere estetico. Come detto, i gusti sono gusti, nel lecito della legge scritta, e poi – come sempre – se la sbrighino loro. Il problema in fondo è proprio in quella norma generale che ricordavo qualche riga più su, e vorrei ancora rammentare – non desiderando nemmeno generare allarmismo, ma a proposito di salute pubblica – che nelle feci degli equini è presente il batterio causa del tetano. Poi, ognuno faccia come crede, che sia chiaro, ma a mio parere non è una cosa bella morire tra dolori atroci e sofferenze inumane. Non sono bei momenti neanche quelli in cui a causa di forme funginee particolarmente aggressive le contingenze mediche costringono alla amputazione di qualche dito del piede, o perché no – direttamente aspirando in alto – degli arti nella loro interezza (li abbiamo quasi tutti in coppia, quindi alla fine, forse, il gioco vale la candela). Del resto stamane in spiaggia ho pestato involutamente una deiezione fecale, e non era neanche di cavallo, ma d’altra bestia (uomo, cane?). Ecco, fatta eccezione per queste trasgressioni alle norme previste per il decoro e la salubrità in spiaggia, a Cavalarica siamo stati proprio bene.

Gaetano Celestre