Il grande studioso aveva approfondito anche la storia dei Popoli del mare e pubblicato un saggio, “I popoli del grande verde”, in cui dava per certo che gli Shardana fossero gli antichi sardi. Un triste destino ha voluto che perdesse la vita proprio il 10 marzo, giorno in cui – nel 241 a.c – avvenne la battaglia delle Egadi tra navi romane e cartaginesi. Avvenimento che Tusa studiava da una vita conducendo anche scavi nei fondali marini. Anche Alberto Angela lo ha voluto ricordare, in questo articolo di Ignazio Dessì. “E’ partito triste”, ha detto la moglie di Tusa. 

Con Sebastiano Tusa l’archeologia perde una figura fondamentale. Diventato ultimamente assessore ai Beni culturali della Sicilia, era, ad avviso di quanti lo conoscevano, uno studioso e uomo integerrimo. Tusa è morto nel disastro dell’aereo etiopico precipiatato dopo il decollo da Addis Abeba e diretto a Nairobi in Kenya. L’archeologo avrebbe dovuto ripartire per Malindi dove l’Unesco l’aveva incaricato di coordinare alcune importanti ricerche in mare, il suo settore, quello dove era un vero maestro. Molti i ritrovamenti a lui attribuibili fatti in varie parti del Mediterraneo, come quello della statua del Satiro di Mazara, una delle più belle emerse dalle acque del Grande verde, come direbbero i cultori della ancora misteriosa epopea dei Popoli del mare.

Non per nulla Sebastiano Tusa di quel periodo era stato un grande studioso. Tanto da aver scritto un significativo testo, “I popoli del Grande Verde”. I Popoli cioè del Mediterraneo antico, quelli precedenti a fenici, punici e romani. Popoli che dominarono in quel mare arrivando a minacciare l’Egitto e a ricoprire un ruolo fondamentale, secondo alcuni, nella scomparsa dei Grandi regni, come il Miceneo e l’Ittita, intorno al 1200 avanti cristo. Periodi e popolazioni cui la ricerca storica ufficiale ha rivolto probabilmente poca attenzione, anche se negli ultimi tempi si sta recuperando il gap grazie, tra gli altri, a studiosi come l’archeologo Giovanni Ugas (guarda il video) e l’appassionato scrittore Leonardo Melis.

L’archeologo Sebastiano Tusa

Il fortunato lavoro di Tusa ha avuto il pregio di essere un saggio divulgativo adatto a un pubblico molto vasto e non di soli specialisti. Un testo che ha consentito di conoscere meglio queste popolazioni che sicuramente hanno avuto un grande ruolo nella storia antica dell’area mediterranea. Ci sono ancora molte discussioni in merito, ma ormai – sosteneva Tusa – è pressoché certo che gli Shardana erano gli antichi sardi. Diverso a suo avviso per gli Shekelesh (con buona probabilità gli antichi siculi) riguardo ai quali sussistono ancora incertezze “che non possono essere risolte per l’assenza di fonti epigrafiche e letterarie adeguate”.

Tusa e i fenici

Tusa sosteneva che “i Fenici (vedi Tucidide) nel momento in cui arrivarono in Sicilia (come in Sardegna, ndr) percorsero prima dei Greci il territorio ed incontrarono le tradizioni e le memorie di questi antichi popoli, che sicuramente ebbero fondamentale importanza – come attestano i testi egizi – nel “trapasso culturale dal momento glorioso e di grande sviluppo di compagini imperiali del vicino Oriente, come quella degli Ittiti, al momento della loro crisi”. Sotto la loro egida “quell’impero scompare, città come Ugarit cessano di vivere ed il regno dei Faraoni subisce anch’esso una indubbia crisi”. Sono proprio queste civiltà dei Popoli del mare a garantire una “continuità”, mentre “si concretizza il passaggio verso un mondo nuovo che si affaccia sul Mediterraneo e si svilupperà alle soglie del primo millennio avanti Cristo”.

“E’ partito triste”

Ora purtroppo Tusa non c’è più e la sua mancanza si sentirà. La moglie Valeria Patrizia Li Vigni ha raccontato sul Corriere che stavolta Sebastiano aveva una sorta di presentimento e “non avrebbe voluto partire”, al contrario di tante altre volte. “È partito triste – ha rivelato – Ma aveva un senso profondo del dovere, dell’archeologia come messaggio di pace, cemento fra i popoli e delle loro storie”. E poi c’era stata quella visita particolare. “Ero a Bologna pochi giorni fa con mio marito, al Mambo, il Museo d’arte moderna – ha detto la signora Valeria – Siamo entrati in contatto con i responsabili della mostra per la strage di Ustica, l’aereo Itavia precipitato nel 1980. Una rassegna toccante. E io ho detto che l’avrei portata a Palazzo Riso. Fra me e Sebastiano si rinnovò la pena, pensando agli amici perduti”.

Il luogo dove è caduto l’aereo della Ethiopian Airlines

La coincidenza

Figlio di un noto archeologo, e padre di un altro valente archeologo, Tusa si era dedicato completamente all’archeologia e in particolare a quella subacquea. Un triste destino ha voluto che morisse proprio il 10 marzo, lo stesso giorno della battaglia delle Egadi (che avvenne però nel 241 avanti cristo). L’archeologo aveva dedicato la vita, tra le altre cose, agli scavi nei fondali e agli studi su quella epica battaglia tra navi di Roma e di Cartagine – ricorda commosso su Repubblica l’amico Ludovico Gippetto – ed ora la storia ha sconfitto Sebastiano proprio il 10 marzo”. Un giorno in cui si è interrotto un ulteriore suo grande sogno: realizzare 20 parchi archeologici e riformare i beni culturali in Sicilia. Progetto che gli aveva creato più di un problema in un territorio difficile dove gli interessi della criminalità organizzata spesso si scontrano con quelli pubblici. Ma lui “andava avanti e non ne voleva sapere”, racconta uno dei suoi collaboratori. Ed ora sono i figli di Tusa a chiedere ad alta voce che il progetto venga comunque portato avanti, nonostante la sua scomparsa.

Purtroppo “è finito tutto così, con una beffa del destino – osserva ancora la moglie – dopo la felicità di avere superato una malattia e due operazioni ai polmoni”. Comunque “ora dobbiamo subito proseguire e completare il libro sulla battaglia delle Egadi. In parte perduto per un clic sbagliato. Il suo cruccio”.

Il dolore di Alberto Angela




Per la morte di Tusa si dice addolorato Alberto Angela che lo conosceva bene. “Avevamo fatto anche una immersione insieme alla scoperta di un relitto romano a 35 metri di profondità a Levanzo, nelle Egadi – spiega sul quotidiano romano – Mi colpivano sempre la grande professionalità, il suo entusiasmo, la sua capacità di organizzare la ricerca e le scoperte. Con la sua scomparsa si è spenta una luce”.