Ogni giorno siamo bombardati da 3.000 a 10.000 messaggi pubblicitari al giorno… avete letto bene: dai 3.000 ai 10.000! Spot televisivi, banner pubblicitari, cartelloni per le strade, volantini e, soprattutto, internet. Le aziende investono spesso milioni e migliaia di euro in pubblicità (di qualsiasi tipo) e l’UPA , l’associazione delle aziende che investono in pubblicità, ha confermato questo trend chiudendo il 2017 con un +1,8% degli investimenti in advertising, soprattutto internet, radio e tv. Ma ne vale veramente la pena?

 

 

La nascita della pubblicità e le due teorie

 Con il termine “pubblicità” si intende la forma di comunicazione di massa usata dalle imprese per creare consenso intorno alla propria immagine. Tendenzialmente la pubblicità avviene diffondendo a pagamento attraverso i mass-media messaggi appositamente studiati.

Il concetto di pubblicità è nato già anticamente, addirittura a Pompei si è ritrovata una scritta su un muro di una casa che invita a votare a favore di un certo candidato nelle seguenti elezioni; stiamo parlando del 79 d.C. Il primo annuncio pubblicitario vero e proprio risale al 1630: su un giornale dell’epoca si stampò una inserzione che richiamava il nome del prodotto pubblicizzato. Nel tempo, l’evoluzione della pubblicità è stata fenomenale fino ad arrivare appunto ai giorni nostri dove ogni persona viene mediamente esposta giornalmente ad una quantità folle di messaggi promozionali.

E qui sorge spontanea una domanda: la pubblicità serve veramente a qualcosa?

Ci sono due teorie che gravitano intorno al tema: la teoria forte e la teoria debole della pubblicità.  Secondo la prima teoria, sia oppositori che sostenitori della pubblicità, sarebbero convinti che questo mezzo di comunicazione abbia una forza di persuasione elevatissima.
Nello specifico la pubblicità è infatti in grado di:

– influire sugli atteggiamenti e sui comportamenti;

– riesce a manipolare il consumatore, anche senza che questi se ne accorga;

– incide sulle vendite del marchio.

La teoria debole della pubblicità ridimensiona la prima teoria affermando che la pubblicità sia solo un mezzo di informazione, ma che non sia in grado di modificare le idee del consumatore finale, dato che:

– non riesce a convertire le convinzioni o resistenze dei consumatori;

– è più efficace quando viene utilizzata per funzioni di rinforzo piuttosto che di allargamento del mercato;

– “la pubblicità non sceglie per nessuno, permette solo di scegliere meglio” come sintetizzato da Jacques Séguéla.

Da che parte state?

Pubblicità vs. passaparola

 Statisticamente, il 78% degli italiani si fida dei consigli degli amici nel momento di fare acquisti, rendendo quindi il passaparola la forma di pubblicità migliore. Tuttavia, si sta vedendo un calo in questo trend, probabilmente confutabile all’esigenza di ricevere maggiori informazioni su prodotti e servizi e, per questo, le opinioni ed i feedback postati su portali appositi o nei social media stanno scalando la classifica. Per gli italiani, ma non solo, sta diventando sempre più importante dare un’occhiata alle recensioni prima di una qualsiasi azione.

Al terzo posto troviamo i pubblidirezionali ed i siti aziendali si collocano allo stesso livello della pubblicità televisiva.

Potrebbe sembrare quindi questa la risposta: finchè amici e conoscenti influenzano positivamente o negativamente colui che deve prendere una decisione acquisitiva, è inutile investire in pubblicità. Non è detto, le opinioni sono importanti ma non rappresentano il 100% della scelta e l’ecosistema mediatico è talmente vario che le opportunità di contatto con i consumatori finali sono quasi infinite – ricordate ancora quanti messaggi pubblicitari riceviamo mediamente ogni giorno?

La risposta non è quindi solamente scegliere in quale mezzo di comunicazione investire, ma costruire una strategia di comunicazione nel suo complesso sensata e mirata.