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Del padre Giove, D(Z)eus superno sovrintendente di tutti noi divi e semidivi in sembianze umane, il mese dedicato inizia il dieci giugno e termina il sette luglio. La festa solstiziale di Giano anticipa di qualche giorno gli onori tributati al quasi omonimo Giovanni – ancora si posticiperanno oltre, negli alti Iblei, i fuochi e i tripudi in gloria al Re della Quercia decapitato, ma – pur nella diversità apparente della tradizione di riferimento – il senso rimane il medesimo nel tempo immemore: quindi, come nel bel mezzo del freddo inverno, così ora è l’afosa estate il teatro dell’inamovibile mutamento ciclico. La porta viene fatta ruotare sui cardini, come una macina. Sui cardini la triplice bianca diva lunare spinge i flutti e sposta le maree ben oltre il conosciuto orlo dell’asciutta sabbia. Conosciuto, come noto, per la memoria che se ne ha dal tramonto avvenuto nella giornata precedente. Il mormorare notturno delle onde è tuttavia stato avvertito nel dormiveglia, e al risveglio restano i fragori d’inerzia dei cavalloni a chiarire gli avvenuti eventi. La Cardea dea amante di Giano ne è stata causa silente e luminosa. L’elemento femmineo notturno e il mascolino della solarità, Janus e Jana (Diano e Diana), Juppiter (da Jun – pater, padre Giano) e Juno (Giunone), sono rappresentazione sponsale di una unica forma, ossia nient’altro che la Res Bina di cui si sostanzia il tutto per come ci circonda e di cui noi stessi “siamo”. La spuma intanto tange la polla d’acqua sorgiva, nel marasma della fine rena dorata. Questo è il simbolo finale della immaterialità di Cavalarica, per meglio dire il senso significante di ciò che risale alla coscienza impalpabile, la dissociazione archetipica d’una astratta entità di sogni costituita e spesso confidenzialmente descritta col nome di Cavalarica.

Con tali premesse concettuali mi accingo in questi giorni a cercare la quercia divinatoria, così da propiziarmi al meglio la seconda parte dell’anno a venire. Tuttavia sono scettico, e per tale motivo fondo buone ragioni nella possibilità di accomodarmi presso l’ombra di uno dei tanti tra i rigogliosi pini marini di questa pertinente area geografica. O sacra uruca a te mi inchino e chiedo non il che fare, ché il non-fare già mi prefiggo come aspettativa benevolmente mutualistica (meno si fa, meno male si rischierà di provocare al prossimo. Questo dovrebbe predicare il buon sacerdote!), invece questiono delle cose concrete e di ciò che riguarda la condizione stilitica di villeggiante in Cavalarica. Sostanzio nella forma la domanda: “Che risponderemo ai foresti i quali con insana curiosità a loro volta ci chiedono delle sorti di quei ruderi chiari e famosi che erano e sono le insigni rimembranze di un passato glorioso nella ristorazione? ; che sarà, che è qual novità, della fu-Scogliera?”

Il Veglio della Montagna di Bruca ha già parlato, egli ad esempio, il numinoso, è perplesso della risoluzione veloce della classica questione docce. Perigliosa novità in effetti, questa, di un incerto avvio d’estate. Egli dice: “Se le docce funzionano già da Giugno, ci manca solo che il mare sia pulito e questa non sarà più Cavalarica! Di che protesteremo dunque se cominciassero malauguratamente pure i lavori di restauro dell’antico tempio ristorativo della Scogliera? Non avremo più nulla di che parlare, e forse anche il nome di Cavalarica dovrà temere della sua essenza ontologica.”

In verità i saggi discepoli del Veglio si chiedono, in merito alle docce, se ne sia valsa la pena di sobbarcarsi di un probabile superiore costo economico conseguenza dell’appalto a società privata, pur di garantire la presta funzionalità dei trasparenti e clorurosi fluidi dissalanti. Si chiedono se non era meglio lasciar la gente, ben sapida, a inquietarsi e dialogare, ché questo è riconosciuto segno di socialità e di dialettica diffusa. La Civiltà non si fonda forse sulla lamentela? Più ci lamentiamo, meglio vanno le cose per tutti, così ci consoliamo abitualmente. Peraltro – altra situazione dai risvolti gravissimi – il disappunto per le fallite strisce blu sul lungomare va crescendo. Il residente abituale cavalarichese era contrario alle strisce e già sollevava alte le grida di protesta, quando il dietrofront imprevisto di Comune e Cooperativa di gestione dei parcheggi a pagamento li ha colti impreparati mentre ancor il piglio guerriero in volto gli si stagliava feroce. Come sfogheranno costoro la loro furia titanica? La Hybris sopita avrà conseguenze ben peggiori, qui ne siamo certi. Così, affinché si scongiuri l’estinzione dell’ultimo dei refrain classici di ogni discussione balneare in terra di Cavalarica, si tenta in queste ore di fondare un comitato in tutela dei ruderi dell’antico Ristorante La Scogliera; mutuando gli impegni annosi di chi si muove in tutela dello Stabilimento del Pisciotto, come esempio di archeologia industriale, la speme si riversa tutta nella volontà di fondare la verità di una necessaria tutela di un bene patrimonio dell’umanità cavalarichese, in nome di una nuova categoria che il Veglio stesso denomina “archeologia eno-gastronomica”. Così è stato detto. Ma gli aruspici sono ancora al lavoro e la divinazione sarà lunga. Qualcuno azzarda la possibilità di un eventuale Cavadexit e già in molti progettano per settembre di non più tornare in quel di Scicli. “Noi non abbiamo strisce blu, inoltre come Porto Franco siamo esenti da imposte, per non parlare di altri benefici sugli alcolici. Infine anche qui, come a Scicli, importiamo birra Triple. Per qual motivo dovremmo dunque tornare in paese?, Scicli se la tengano stretta i turisti e coloro che appresso gli vanno, noi restiamo a Cavalarica.”, parole che furono profferite in spiaggia, forse con troppa leggerezza. Per tal motivo ti interrogo, o sacra uruca. Nell’attesa di un risposta, glorifichiamo il nome di Giove nel suo mese, alzando a palla il volume dell’autoradio mentre ascoltiamo la Sinfonia in Do maggiore K.551 di Mozart. Siamo truzzi, ma con classe.

Gaetano Celestre

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