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Mi accingo a partecipare – ciò avverrà nei prossimi giorni – a un’assemblea pubblica del PD; per la precisione indetta da uno dei due circoli cittadini; lo farò con interesse e con un carico di domande retoriche che non attendono necessariamente alcuna risposta verbale. Di fatto, preferirò persino non esprimerle nel corso del consesso, e piuttosto cercherò di ragionarle su queste pagine. Prima di iniziare, avvisando il lettore della lunghezza di questo scritto (ma egli, ne sono certo, già lo sa!), chiarisco che le domande sono in realtà questioni aperte, e più che di risposte sento la necessità di ragionamenti conviviali, ipotesi e tutto ciò che concerne la dialettica politica.

Inizio subito dall’opportunità di questa appena convocata assemblea cittadina (pubblica) del PD. Essendo io convinto fermamente della utilità e della bontà d’iniziativa, mi chiedo se alla stessa stregua sarà accolta dal resto dei tesserati e dei simpatizzanti. Mi chiedo, in ragione dei risultati dell’ultima tornata elettorale, se ci siano ancora simpatizzanti, in effetti. La facile boutade me la smentisco autonomamente, poiché, sottratti i ballottaggi nella città di Roma e Torino o i risultati complessivi di Vittoria, Napoli e affini situazioni, il Partito Democratico ha sicuramente “tenuto botta”. Non dimentichiamo che un calo naturale era del tutto atteso, da una compagine che sta governando. Il Partito Democratico è senza dubbio ancora fortissimo, il più forte anzi tra le partizioni politiche di ogni tipo (compresi astensionisti ideologici, ovviamente). In più, va considerato il successo a Milano, reale capitale economica e finanziaria del Bel Paese. Anche se lì i candidati erano assolutamente interscambiabili, ossia avrei visto Sala passare col centrodestra e Parisi col PD nel corso della campagna elettorale, il tutto senza sorprendermi minimamente. Ciò, di fatto, mi fa pensare che in Italia ci sia ancora un elettore moderato, potenzialmente “simpatizzante” di una qualunque cosa sia ragionevolmente istituzionale. Questo sì che è sorprendente come dato, dopo tanti anni di disastro economico e sociale (addirittura “civile”!).

I problemi del PD, sembra banale, arrivano coi ballottaggi, ed era anche questo preventivabile. Tanto intensamente lo si sospettava, che nei giorni scorsi qualcuno ha visto accendersi una spia rossa persino nella cabina di regia renziana; le preoccupazioni correlate – neanche a dirlo – alla ventura legge elettorale. Ma andiamo per gradi. Perché il partito più forte perde al ballottaggio? Ma è ovvio!, perché aveva ragione Condorcet:

in un sistema a doppio turno elettorale le regole della transitività (dati i partiti A, B, C ;  B>C>A) rischiano di saltare (se eliminiamo A dalla gara e restano solo B e C, i voti di A potrebbero confluire in C provocando la sconfitta della maggioranza di B). Scusate la pedanteria ma credo sia utile cercare di assegnare nomi ai simboli alfabeteci, non tanto per meglio chiarire, quanto piuttosto per avvalorare le tesi. Del resto, quel che vorrei chiarire ai più sin da subito è che personalmente sono propenso a credere in un elettore allegoricamente vagante come un cane randagio (secondo il paradosso di Condorcet, infatti, l’elettore sposta il suo voto autonomamente). Prendiamo ad esempio Roma, e ipotizziamo che A sia la destra di Meloni, Berlusconi e Marchini (in fondo se fossero andati assieme avrebbero vinto, probabilmente), B il PD e C il 5Stelle. La disgregazione di A provoca una diaspora dei suoi elettori in fase pre e post ballottaggio, a vantaggio di PD e 5Stelle. Credo poco all’influenza del consiglio induttivo di Salvini, il quale invece a mio parere cerca solo di far presumere una certa ascendenza sul suo elettorato-tipo (si fa forza da solo, pericolosamente). Bene fa il 5Stelle a negarsi per una eventuale alleanza, poiché l’elettore di destra ha già una seconda scelta ed è per l’appunto coincidente col voto al 5Stelle. Dunque il paradosso di Condorcet è confermato dai risultati, l’elettore della minoranza, che per un qualche motivo si sente slegato dal rapporto di fiducia col suo partito di riferimento, decide di fare uno sgarbo alla compagine di maggioranza (è in fondo una dinamica classica dei ballottaggi, dove la maggioranza, di qualunque colore essa sia, parte sempre svantaggiata). A Torino il caso è diverso poiché, in ragione e merito di un constatato buon governo precedente, l’esito delle preferenze concesse lascia pensare a una colossale ubriacatura dell’elettorato intero (più che Condorcet è dovere richiamare il santacruciaru che si evirava per far dispiacere alla moglie). In ogni caso è anche vero che la sensazione percepibile dopo queste amministrative rende l’immagine di un elettore che stia vivendo una situazione del tutto simile a quella degli ammalati di Babilonia, i quali, non fidandosi dei medici, si riunivano in riva al fiume e gridavano i loro sintomi, attendendo di poterne discutere la cura coi passanti che apparivano più informati.

Potrebbe trattarsi di strategia, lo si dice da un pezzo. Roma è in fondo una ben logora “patata bollente”. Meglio assicurare Milano al “Sistema”, in concretezza, e lasciar amministrare i grillini nella Capitale per dimostrare a tutto il Paese, all’Europa e il mondo intero, la loro inettitudine e inefficienza? A questo ragionamento si possono opporre immediatamente almeno un paio di critiche: Roma è comunque capitale politica, se il 5Stelle dovesse ben governare fino alle prossime politiche, la débacle del Pd almeno in termini di “propaganda” sarebbe assicurata. Infine non sarei così sicuro dell’inefficienza grillina. Conosco per esservi transitato velocemente – per un breve periodo – le dinamiche interne di questo enorme ed eterogeneo convoglio di personalismi. Intendo dire, malgrado l’esecrando uno vale uno (per me nefasto, per altri magari no, chiaramente), promotore di nuovi superomismi, il MoVimento riesce a sintetizzare gli individualismi presso pragmatici oggetti di interesse pubblico. E assicuro il lettore che gli iscritti al MoVimento sono anche ben intenzionati nel fare (molti i bravi “ragazzi”). Non sarei sorpreso da un rifiorire apparente di Roma, strade riasfaltate comprese, tutto ad opera – eventualmente, all’occorrenza – di volontari. Quel che voglio dire è che il 5Stelle, se qualcosa di buono propone, è proprio questo sbracciarsi di maniche dei suoi iscritti. Nel momento in cui le strutture istituzionali, e le appendici privatistiche della cosa pubblica, dovessero voltare le spalle all’amministrazione politica pentastellata, sono sicuro che le necessità sarebbero coperte da questo “facciamo cose” di cui Renzi stesso voleva impadronirsi fino a qualche tempo fa. E il cinque stelle fa davvero le cose, ve lo assicuro! Ragusa (o Parma) sono l’esempio del buon governo apparente: piste ciclabili, pulizia e decoro urbano, iniziative ecosostenibili, etc, etc … tutte manifestazioni immediatamente percepibili dall’elettore. Quel che manca ai grillini, probabilmente, è la concretezza contabile (apprendo oggi che a Ragusa stanno inviando un commissario ad acta per il Bilancio). Ma voi pensate che alla maggioranza dei cittadini freghi qualcosa dei Bilanci? Del resto neanche i governi dei partiti erano poi così abili nel redigerli (il mal governo dei partiti o delle coalizioni dei partiti è stato spesso manifesto, in apparenza come in concretezza intima). È così accadrà a Roma, a Ragusa, un domani a Scicli e in ogni altro luogo. Il cittadino è in riva al fiume, e tocca quel che vede. I danni economico-finanziari si sentono sul lungo periodo, per cui il tempo di vincere le politiche c’è tutto. Infine un governo nazionale grillino non penso avrebbe alcun problema ad addossare le responsabilità dei numeri avversi sulle politiche europee (è probabile che se dovesse alla fine restare la Gran Bretagna, sarà proprio l’Italia pentastellata la prima ad uscire dalla Comunità Europea). Insomma, penso che la scommessa renziana, se di questo si tratta, sia molto rischiosa. Così aleatoria da lasciar presagire, nel caso avverso a Renzi, un bel nuovo ventennio di regno politico monocolore. I rischi della riforma costituzionale e della legge elettorale sono tutti lì. Ma tra poco ci arriviamo, senza fretta. Ritorniamo per un attimo al presente: Fassino era quanto di buono la sinistra comunista ha potuto esprimere nella sua fase dissolvente (penso alle percentuali del suo quasi omonimo – chi? – a Roma), nonché un raro esemplare di politico galantuomo. Il padre di famiglia con l’arma del voto in pugno gli ha voltato le spalle, anzi glielo ha piantato proprio lì. Giachetti, dal suo canto, era un post-pannelliano, intellettuale (e persino rimatore), integralista (incorruttibile) del radicalismo liberale (raro esempio di buona condotta politica). Anche quest’ultimo è stato bruciato. Ora, se teniamo in conto che ai “tecnici” non si può più aspirare sin dalle esperienze montiane, e che il #cambiaverso renziano è rimasto solo negli auspici, non resta all’elettore che la residua speme nel cinque stelle. Escludo la Destra dalle possibilità da agognare perché al momento è assolutamente incapace di trovare unità, e così anche il centrodestra moderato, perché in parte già approdato al PD (sotto il profilo interno, dei politici transfughi; ed esterno, dell’elettorato, indeciso tra il cinque stelle e il pd stesso). Magari è solo la nuova politica e io non la capisco. In ogni caso, il novecento sta lentamente dissolvendosi con le sue illusioni. Sotto tali auspici, devo confidare al mio Partito (continuerò senz’altro a tesserarmi e votarlo, fino a quando esisterà, se almeno formalmente resterà nelle radici di centrosinistra. Non posso farci niente, sono come quelle anziane signore che continuano ad andare alla messa di domenica, anche quando il sacerdote – un po’ troppo giovane – non le convince per nulla e i suoi sono costumi da dissoluto libertino) che ho qualche dubbio sulla Riforma Costituzionale e sulla nuova Legge Elettorale. Era un eufemismo, non ho dubbi, ma certezze: partendo da posizioni di favore ora mi sono convinto che è meglio disertare il Referendum. La legge elettorale, è noto, introdurrà il doppio turno, quindi se Condorcet avrà ancora ragione, è legittimo prospettarsi un governo pentastellato (per le cose sin qui scritte). Persino Renzi, nei giorni scorsi, si è lasciato andare in un commento semidisfattista, prefigurando un eventuale vantaggio di stabilità governativa proprio in pro al MoVimento, qualora dovesse vincere, fosse pure per una manciata di voti. Non finisce qui, la Riforma Costituzionale prevede maggiori snellezze nella formazione delle leggi, oltre che sicura posizione della maggioranza parlamentare nella direzione politica. Ne deduco, con modestissimo acume, che il prossimo Governo potrebbe nel caso modificare ancora la Costituzione, più agevolmente che in passato. Tutto come ipotesi – si intenda – come mera possibilità, non altro. Eppure, per quanto condizioni simili sarebbero state auspicabili ai tempi dei governi Prodi, e forse anche dei primi due Berlusconi, oggi mi incutono quel sacro terrore che è originato sempre dal bambino che gioca a pochi passi dalla centralina elettrica. Non lo so, caro Renzi, non me la sento – eventualmente – di consegnare il Paese, e con un potere simile, a Dibba, la ggente & comitiva che scende dalle stelle. Ripeto, sono mie elucubrazioni, forse assurde, di un millantatore di pensate e ragionamenti, penserà qualcuno con boriosa altezzosità; probabilmente saranno tutte smentite dai fatti e dagli eventi. Lo spero! Tuttavia qualcuno deve pur farsele queste domande oziose. Inoltre, aggiungo, e tendo la mano ai grillini diplomaticamente (ho stima, tutt’ora, di Grillo. Molta meno ne ho dei suoi seguaci), sperando che magari scongiurino i miei timori e realizzino il Regno del Cielo Stellato (in bocca al lupo, dalla delegazione straniera del Partito Unidentitario Socialdemocratico di Cavalarica). Che vi credete?, mi accontento anche io delle piste ciclabili e dell’attenzione per il verde pubblico, sono anche propenso a chiudere l’occhio sul bilancio, da semplice cittadino. Del resto, non sono poi particolarmente affezionato alle illusioni (e alle disillusioni) del novecento ideologico. Solo, di questo novecento, ricordo con piacere la serenità pubblica diffusa (malgrado le schizofrenie degli anni di piombo, e la guerra fredda; comunque fenomeni funzionali al mantenimento dello status quo). Il mondo si dibatteva, mentre le famiglie osservavano alla TV restando quiete. Oggi sembra specularmente l’opposto, il mondo è stantio, e gli individui si pongono l’un contro l’altro (uno vale uno?). Probabilmente le cose non stanno neanche così, perlomeno non del tutto. La situazione è molto più complessa. L’unica cosa certa è che l’individualismo trionfa, e in politica il risultato eclatante è manifestato dalla fine della forma-partito.

Cosa accadrà a Scicli? Non so perché ma quando devo immaginare le amministrative sciclitane, penso agli ultimi risultati di Vittoria. Spero di no, chiaramente, sono del PD come già detto (e intanto sorrido compiaciuto, mentre lo scrivo). Eppure… sapete … mah?!? Lasciamo perdere il PD, parliamo del cinque stelle ancora una volta. Che farà il MoVimento a Scicli? Ebbene, a mio parere vincerà anche qui. Chiariamolo subito, non è mica detto che il MoVimento vinca col suo simbolo politico, il successo invece con ogni buona probabilità sarà del suo elettorato. L’importante, perché funzioni, è che l’elettore percepisca di votare contro il sistema, qualunque sia il simbolo (l’asino che vola, il fior di cappero o il cavallo rampante sui tre colli, per esso pari son). Immagino che possa bastare un gruppo di giovani professionalmente preparati, moderatamente aggressivi (nel senso buono), ma sorridenti e dimessi nell’orgoglio di essere istruiti, soprattutto con tanta voglia di fare cose e di coinvolgere gli altri (non pensate subito male, lettori, non deve tutto ciò per forza essere solo apparente, magari ci saranno pure le buone intenzioni reali). Di giovani a Scicli non ne mancano, vedremo come sapranno governarci (in bocca al lupo pure a loro). È la nuova politica, qualcosa che non ho ben capito e forse non capirò mai. È probabile pure che sia necessario passare per questo frangente insicuro di secche sabbiose perché si possa, non dico approdare, ma almeno avvistare il faro sulla lontana costa. Sono ottimista, scrivevo qualche tempo fa che occorre lasciar tagliare il pane ai propri figli, anche a pericolo di farli ferire, altrimenti non impareranno mai. Pazienza, se a causa di qualche errore – per abilità non acquisita nel maneggiare gli arnesi della cucina – non si mangerà pane per un po’, e anzi qualcuno dovrà procurarsi di portare feriti al pronto soccorso.

Lasciamo perdere queste faccende, che per nulla mi riguardano. Quel che vorrei capire e lo chiedo al mio Partito, è pertinente ad altro. Per la precisione al “mondo delle idee”. Chi ha compreso, come me, che occorre mettersi in disarmo, e in fretta? Apprezzo moltissimo l’idea di chi ha deciso di riunire il Partito Democratico presso la Casa di Riposo, ha un significato che va addirittura oltre il simbolico. Non sono troppo vecchio d’età, lo so, tuttavia sono troppo coinvolto in quelle dinamiche intellettuali post-illuministiche di cui si nutre l’ideologismo politico, apparato strutturale e sovrastrutturale di cui oggi vediamo crollare le ultime colonne. Basti pensare che mi credo ancora socialista (e ripeto in continuazione che Marx era un profeta, forse il messia, e ha previsto tutto). Dunque trovo inevitabile per me esentarmi (assentarmi!) da qualunque tentativo attivo di intromissione oppositoria. Quanti altri, mi chiedo, la pensano come me? Molti per fortuna continueranno a fare politica attiva, alcuni all’interno del moribondo partito democratico (cupio dissolvi?), altri fuori alla ricerca di soluzioni alternative, altri ancora nuovamente transfughi nei contenitori già esistenti e di comprovato successo. Ancora, con monotonia mi chiedo, quanti oltre me resteranno nel PD per il puro scopo di parlare di politica così come si faceva fino agli inizi dei primi anni ’90 del secolo scorso? Sento la necessità di discutere di Occhetto, del perché Folena scelse così e non colà, del come mai non si fece unità tra comunisti e socialisti, invece di cercare i democristiani. Se ci sono altri che come me si sono stancati delle cose fatte e – così stando le cose – preferiscono le chiacchiere (tantu se ‘cchiana u cinque stelle ni rununu l’assegno sociale macari can nun travagghiamu), ho necessità di chiedergli di che colore acquisteremo le bocce. Almeno quelle, vi prego, prendiamole rosse.

Gaetano Celestre

 

Riporto qui di seguito – immaginatela come una chiosa alla riflessione precedente – una poesia inedita di Adam Zagajewski:

Give me my childhood again

“Ridatemi la mia infanzia,
quella repubblica di passeri garruli,
le smisurate selve di ortiche
e il pianto notturno del timido allocco.
La nostra strada vuota di domenica,
il rosso neogotico delle chiese
che non ispirava i mistici,
le bardane sussurranti in tedesco
e la confessione dell’alcolizzato
presso l’altare della parete bianca,
e le pietre, e la pioggia, e le pozzanghere
in cui sfavillava l’oro.
Adesso, ormai, saprei sicuramente
come essere bambino, saprei
come guardare gli alberi coperti di brina,
come vivere immobilmente.”