Due mila euro al metro quadro. Tanto fruttano in media le nostre spiagge, secondo l’istituto di ricerca Nomisma, al settore turistico. Si stima che ogni anno il mare “inghiotta” centinaia di migliaia di euro attraverso l’erosione delle coste. La scomparsa dei litorali sabbiosi non provoca soltanto una grave perdita economica, ma anche un incalcolabile danno ambientale, aumentando la vulnerabilità delle linee di costa, con strade, case e manufatti sempre più esposti alla forza distruttiva delle tempeste e alle mareggiate. Sono i dati allarmanti snocciolati ieri nel corso del seminario scientifico “Per la difesa del litorale ibleo”, svoltosi nell’aula consiliare di Palazzo Bruno, che ha visto a confronto architetti, ingegneri, geologi e avvocati.

L’evento è stato organizzato dai Laboratori tecnologici e di ricerca Betontest di Ispica, dal Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura dell’Università di Catania, e dagli Ordini professionali della provincia di Ragusa degli Ingegneri, degli Architetti pianificatori paesaggisti e conservatori, degli Avvocati, dall’Ordine regionale dei Geologi e dal Comune di Ispica. Dopo i saluti istituzionali, dell’ingegnere capo del Genio civile di Ragusa Ignazio Mariano Pagano e del soprintendente per i Beni culturali e ambientali di Ragusa Calogero Rizzuto, i relatori hanno fatto il punto sull’attuale situazione, sul lavoro finora svolto e sugli interventi futuri per salvaguardare la fascia costiera. A caratterizzare i qualificati interventi è stata un’ottica multidisciplinare e propositiva, orientata a proporre soluzioni innovative e concrete frutto di una sinergia sempre più stretta tra gli ordini professionali coinvolti, tra privati e pubblica amministrazione.

Giuseppe Alessandro, geologo, responsabile della difesa del suolo per il Libero Consorzio Comunale di Ragusa, nella sua relazione ha illustrato il lavoro svolto nell’ultimo decennio dall’ex provincia regionale sui circa 80 km di costa iblea. Un lavoro certosino di studio, raccolta di dati, analisi sui campioni e monitoraggio condotto in collaborazione con l’Università di Messina. Ciò ha consentito di avere una migliore conoscenza del fenomeno e delle cause naturali e antropiche che provocano l’erosione costiera e intervenire con barriere soffolte e ripascimenti che hanno tenuto conto delle specificità di ogni singola spiaggia.

Ciro Farinelli, ingegnere dell’Airbus Groups, in un video ha illustrato nuove tecnologie sviluppate nel campo spaziale e aerospaziale, che possono essere utilizzate anche per la difesa delle coste: il progetto Copernicus, che permette l’osservazione terrestre dallo spazio e fornisce open data su fenomeni oceanici e costieri a livello globale e locale; i droni che, combinando rilevazioni ottiche e a laser, consentono una mappatura tridimensionale delle coste. Una terza tecnologia, in fase di sviluppo, permette di identificare parametri volumetrici e batimetrici sott’acqua. Grazie all’intelligenza artificiale questi dati possono essere “processati” per creare sistemi predittivi. «Occorre progettare dei sistemi di difesa della costa sull’idea di quello che avverrà da qui a ai prossimi anni – ha concluso Farinelli – e non sulla base di quello che è avvenuto in passato. Questo è stato il nostro approccio finora ed è il motivo per cui l’erosione è continuata nonostante tutti i milioni spesi per contrastarla».

Giovanni Berti, Presidente di Xrd –Tols, nata come spin off e accademico dell’Università di Pisa, ha spostato l’attenzione dall’area vasta alla scala nanometrica. La diffrattometria ai raggi X, di cui Berti è uno dei massimi esperti mondiali, è una tecnica di analisi non distruttiva che permette di studiare la struttura della materia e di qualificarne l’identità per l’uso di destinazione. Questa tecnica offre un’ampia applicabilità di interventi diagnostici precoci e senza necessità di venire in contatto con il materiale sotto indagine. Berti si è occupato, in particolare, di diffrattometria ai raggi X sulla matrice sabbiosa per la determinazione di inquinanti di varia origine. I risultati, attesi a breve, potranno essere utilizzati per interventi sempre più mirati ed efficaci.

Enrico Foti, direttore del Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura dell’Università di Catania, ha mostrato come i cambiamenti climatici siano responsabili non soltanto dell’innalzamento del mare ma di fenomeni estremi, mai registrati nel Mediterraneo. Come l’uragano che lo scorso settembre ha lambito le coste siciliane provocando gravi danni. Esistono varie opere di difesa, che però vanno progettate in maniera accurata e in un’ottica sistemica, altrimenti si rischia di non risolvere il problema o addirittura di creare danni peggiori. Un esempio virtuoso, al netto delle vicende giudiziarie, è quello del MOSE di Venezia. Foti, che è stato consulente del Consorzio di gestione del MOSE fino all’ottobre 2017, ha mostrato come l’opera abbia consentito di difendere l’area lagunare da una serie di fenomeni, che vanno dall’erosione all’acqua alta fino all’abbassamento delle terre emerse. La via seguita è stata quella di immaginare uno scenario molto ampio, con interventi strutturali, pianificazione e sistemi di monitoraggio e allerta. Che poi è il metodo da adottare anche per la difesa delle nostre coste.

Corrado Monaca, direttore dei laboratori Betontest, ha tirato le conclusioni. Nella sua sintesi finale, ha posto l’accento sulla necessità di pianificare, sfruttare le nuove tecnologie disponibili, creare sinergie tra enti pubblici e privati . «Dopo il primo convegno sul tema, tenutosi a Ragusa nel giugno 2017 – ha spiegato Monaca – Betontest ha fatto rete con il Libero Consorzio Comunale di Ragusa, e l’Università di Catania (Dipartimento di Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura dell’Università di Catania) e l’ingegnere aerospaziale Ciro Farinelli per sviluppare il progetto di ricerca S.M.A.T. Cost sul monitoraggio delle coste. Previsto inoltre un progetto per la realizzazione di strutture con muri a secco nel water front ibleo. Una ri-significazione dei luoghi, partendo da una conoscenza profonda del territorio che sa leggere e interpretare le sedimentazioni storiche per arrivare a un esempio di architettura pilota in terra iblea». L’uovo di Colombo, che potrebbe salvare le nostre spiagge senza cementificare e senza alterare le caratteristiche paesaggistiche dell’area e recuperarne l’identità storica.

 Foto:In alto da sinistra Monaca (Betontest), Foti (Univ. Catania), Muraglie (sindaco di Ispica), Berti (XRD Tools – Univ. Pisa), Alessandro (LIbero Consorzio comunale Ragusa); in basso: da sinistra Di Martino (Ordine Ingegneri), Solarino (Ordine Avvocati), Petralia (Ordine Geologi), Mauceri (Ordine Architetti).