foto di repertorio: mare 'ngrasciatu

Prima o poi dovrò pur scriverlo un racconto su quelli che si prendono la licenza di parlare a nome di altri (“tra gli uomini vi è la singolare tendenza di permettersi, quando sono riuniti in massa, tutto ciò che è loro proibito come singoli individui. Tutti questi sono i privilegi di un noi”, scriveva Musil, in un suo famoso saggio sulla Stupidità). Lo dico una volta per tutte, quando scrivo lo faccio senza intenti (tanto meno moralizzanti), ma essenzialmente per il puro piacere di discuterne, anche tra me. Così mi sembrano interessantissime quelle affermazioni elevate, con dignità e superbo senso di responsabilità, in nome della parte migliore del Paese, dei giovani (i genericissimi giovani, sui quali non riesco a riporre alcuna fiducia. Pazienza!) oppure di quella astrattissima –  apparente forse – società civile, che spesso concretamente non è altro che una porzione perbenista della società. La partizione, comunque, lascia pensare che possa esistere anche una società incivile. Si stia attenti, non si parla dei “delinquenti”, i quali sono rifiuti della società (da recuperare o meno, in base a codice penale contingente), o tutt’al più ne vivono superficialmente lo strato relazionale più esteriore, celando il malaffare che si svolge fuori dal novero delle contrattazioni sociali riconosciute (più precisamente, i delinquenti – specie se organizzati – costituiscono una ulteriore para-società). Ebbene vorrei capire di che si tratta, a questo punto! Ha a che fare con la “maggioranza silenziosa”? Breve ragionamento:

1)      La società civile è costituita da persone impegnate, in senso cooperativo talvolta, anche politicamente, o nell’associazionismo, in vista di un proclamato (perlomeno a voce) bene comune da raggiungere con petizioni, attività culturale, etc, etc… Tutto molto bello e idealmente supportabile!, peccato che spesso si traduca in ipocrisie conclamate e settarismi insopportabili finalizzati al vantaggio personale.

2)      La maggioranza silenziosa è una mitica entità sconosciuta e irrintracciabile che di volta in volta vota Berlusconi, Renzi, Barabba (che in fondo a tutti sta più simpatico di Cristo), la Democrazia Cristiana, quando di fatto nessuno è disposto ad ammetterlo pubblicamente; a dispetto delle tendenze sociali nichiliste (risultati forniti da statistica “di fatto” televisiva), non vota UKIP o Salvini, il M5S quando ha senso votarlo (lo vota quando non è proprio il caso, perché vuole solo inviare un segnale di insofferenza momentanea), etc, etc… In pratica è un organismo non organizzato che in ogni caso, malgrado tutto, riconduce tutto alla stabilità.

3)      La società incivile invece non è neanche menzionata. Di essa ci si vergogna. È una porzione minoritaria, senz’altro. Di essa si sa – come detto prima – che non è quella atta a delinquere. Ma tutto il resto è solo riposto nell’ipotesi. Si dice che di essa potrebbero far parte quelli che non votano, non firmano petizioni, chiudono la telefonata ai messaggi promozionali registrati, e tanto altro di pienamente irresponsabile (sono irresponsabili e non de-responsabilisti, i quali ultimi fanno parte della maggioranza silenziosa). Ecco, in effetti, questa è una minoranza silenziosa, e a dirla tutta se candidasse Barabba potrei anche farci un pensierino.

È materia per un racconto? Ci penserò su. Recentemente ne ho pubblicato uno su queste pagine. Bello o brutto che sia, ho cercato di predefinire la sua struttura su tre tipi di Lettura interpretativa: quella sociale, quella simbolico-esoterica e quella filosofica. C’è n’è anche un’altra, quella semplicissima, e forse preferibile, che segue la vicenda dall’inizio alla fine (il plot), facendosi trascinare nell’immedesimazione (un tizio che, in seguito a una serie di vicissitudini e frustrazioni psicologiche, finisce per annullarsi e sparire nella natura, probabilmente liberandosi di tutti i fardelli emotivi della propria e altrui umanità). Spiace dirlo ma, come preannunciavo, forse quest’ultima è la migliore delle letture interpretative, e per più fondati motivi. Innanzitutto per dei motivi escludenti: intendo dire che, sia per mezzo della lettura simbolica, quanto di quella filosofica, si accede a una escatologia positiva – per quanto schopenhaueriana-pessoana – che conduce alla positiva visione finale liberatoria (estasi dell’annullamento). È questa una dimensione empiricamente non provabile. Preferibile risulta non farvi alcun affidamento. Quale liberazione dall’umanità è mai possibile per l’uomo? Conoscete qualcuno che sia riuscito a diventare un pioppo bianco, o qualcuno che prenda regolarmente il caffè con San Pietro? Dunque la lettura semplicistica-realista è migliore in quanto smitizza e ci riporta dal viaggio lunare, finalmente sulla terra, privi della zavorra immaginifica, e di compagni scavezzacollo come Astolfo o di teologi in odore di eresia come il Giovanni ariostesco. Il piacere, scriveva Kant, non lo si può “conoscere”, in quanto è solo causato dalla percezione del fenomeno di cui si intende godere.

Tra qualche giorno me ne andrò a mare, nel senso che mi trasferirò nella mia località estiva elettiva. Ma ho già fatto qualche bagno preventivo, non temete, lavaggio catartico per certi versi, dopo mesi di stronzate cittadine (accludo tutte le vicende di attualità non solo politica). Quando entro in contatto coi flutti sento quella elettricità di cui scrivevo nel racconto. Mi sento anch’io parte di quel tutto, come se mi annullassi in esso. Una piacevolezza illusoria, probabilmente. Il mare, come contenitore e memoria dell’umanità, a una ricerca più approfondita che intenda parare dalle parti della conoscenza, pur non potendola mai raggiungere, assume tuttavia un significato ben diverso da quello che suggestivamente suggerisce la percezione. Esso è, più realisticamente, da leggere come un contenitore di particelle di umanità indigerite e indigeribili, di escrezioni …insomma di merda (ecco l’eternità del corpo immarcescibile. Noi siamo immortali!, in tal senso). Dunque il mio stare felice a sguazzarvi in mezzo non è da interpretare come un momento di astrazione dalla carne, ma piuttosto di piena condivisione della stessa. Il tizio del mio racconto, in realtà, è pioppo solo in quanto le carni dei suoi antecessori hanno concimato la terra su cui l’arbusto ha attecchito. Ed è pertanto che dissento da quanto io stesso illusoriamente ho voluto lasciare credere – persino a me stesso – quando adombravo la possibilità di rientrare nella natura fuggendo l’umanità. È un sogno, forse carezzevole, ma solo e senz’altro un sogno. L’uomo è natura nella sua interezza per ciò che biologicamente è. Ed è dio di questo “tutto” quando comprende che non sono sostenibili  aprioristicamente trascendentali fughe del corpo dal proprio corpo, sia pure esso in definitiva quello universale. Questo è panteismo. Non prestate fede a quanto scrive l’idealista che è in me. Che poi di fatto, stare in questo mare, contemplarlo e rallegrarmene, mi piaccia lo stesso, è oggetto di una riflessione che va coniugata con la mia propensione alla inciviltà silenziosa. Più che tra il “bello” e il “brutto”, tendo a far rientrare le mie sensazioni quotidiane nel “ci sto bene”/”non ci sto bene” (nel senso materico della mia presenza concreta e letterale sul territorio, come sostrato che mi sorregge dalla immanente caduta nel vuoto spazio, intendo dire).

Gaetano Celestre

 

“…al fine di edificare il corpo di Cristo, affinché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo.” (Atti degli Apostoli, Paolo – o chi per lui – scrive alla comunità di Efeso)

“Benché sia ordinato con diversi uffici, non dobbiamo credere che lo stato del mondo risulti inorganico e disarmonico: ma come il nostro corpo è formato da molte membra ed è retto da una sola anima, così dobbiamo pensare a tutto l’universo come ad uno smisurato essere animato…” (da I principi di Origene)

“Il permanente quindi, in relazione col quale soltanto possono esser determinati tutti i rapporti temporali dei fenomeni, è la sostanza del fenomeno; cioè il reale di esso, che rimane sempre identico come sostrato di ogni cangiamento. Poiché dunque la sostanza nell’esistere non può mutare, così anche la sua quantità nella natura non può né aumentar né diminuire.” (Gentile che traduce Kant, Critica della Ragion Pura)