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Un grande timore ci sorprende, sovente, quando al termine di una difficoltosa e sudatissima erta, scrutiamo l’ignoto celato dietro gli altopiani dirimpetto; ed è una paura che precede misteriosamente persino le più lucide attività dell’immaginazione applicate all’indagine su ciò che sta oltre. Simili atteggiamenti, indulgenti allo scetticismo, affliggono il mio mediocre raziocinante, ma alla bisogna riesco a mantenere un mezzo sorriso di circostanza – quello imposto dall’apparire pubblico – ogni qualvolta mi capita l’occasione di commentare tra amici circostanze, accadimenti, fatti veri o presunti, illazioni ed emanazioni funeste che scaturiscono da “quel che si dice” sulle pagine dei giornali, opera di chi i testi elabora – spesso – con vaga coscienza e talvolta opinabile etica professionale. Prendiamo un caso specifico, recente!, quello dell’infermiera di Treviso, tizia che nella sua attività professionale pare fosse restia a vaccinare gli infanti sottoposti alle cure del suo ufficio. Qualora i fatti fossero accertati, ne dedurrei una spaventosa conferma alla nuova tendenza prognosticabile, di una società dell’avvenire pericolosissima, tracotante e supponente, autoreferenziale nella dignità di ritenersi meritevole di dover sottomettere la Legge dello Stato a quella intima personale, fosse pure a causa di irrefrenabile moto dell’animo dettato da immotivata superstizione mascherata sotto la dicitura carismatica dell’obiezione di coscienza.

La paura mia interviene per l’appunto ben prima del critico ragionamento pratico. Penso a Hitler – perdonate la banalità da scuola media – il quale imponeva ragioni occulte ai suoi progettisti, agli architetti del Reich, perché erigessero fabbriche (stadi, palazzi, monumenti) dal decadimento strutturale calcolato, in maniera tale da risultare già in principio immaginabili in forma e figura di futuri ruderi. Coincidenza, quest’ultima, da correlare ai gusti estetici del Fuhrer artista, e si vedano al riguardo i desolanti paesaggi ritratti nelle opere pittoriche del medesimo. Ragioni occulte, dicevo, come quelle sottese all’operato di una importante divisione delle SS, prodiga di sforzi in ambito esoterico. Ed è sempre preoccupante che si voglia sintetizzare la superstizione e le leggi morali, specie quelle che si trovano più o meno ragionevolmente dentro di noi, individui romantici frequentemente intenti a guardare in alto l’eternità dei cieli stellati. Chi impedirà mai a uno di noi, magari il più sognatore degli altri, di imporre un giorno le proprie morali – anche quelle più banali – a tutto il resto del consesso umano? I seguaci di sognatori sono legione poi!, spesse volte si trovano in contingenze di insofferenza, nelle ambasce dell’avversità socio-economica, costretti alla sudditanza rispetto una Legge precostituita, fondata negli auspici, a priori, per il ragionevole bene di tutti e poi rivelatasi contraria alle pulsioni libertarie di ogni tipo, anche quelle più grette e ingiustificabili. Così non è difficile immaginare che prima o poi, per il bene di tutti, il sognatore pensi di estendere la sintesi già eseguita dall’io agli altri; facendo Legge valida per tutti, delle personali tendenze vegetariane, per esempio. Il passo, dai malefici vaccini, alle contigue fesserie, tipo le credenze sulle scie chimiche, o l’affidamento alle monete alternative e alle particolari soluzioni ambigue al problema generale e globale, ebbene il passo, dall’una all’altre di tali amene fantasie, è veramente breve; per giungere al disastro basta pensare di operare per il bene del prossimo, magari tralasciando di farsi sovrintendere dall’Imperativo Categorico (“Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre come fine e mai semplicemente come mezzo”). Io stesso potrei un giorno diventare un potente della Terra, per puro caso, e imporre a tutti i miei sudditi la mia magnanima legge universale (frutto di una mia personalissima interpretazione dello spirito del tempo), prescrivendo la venerazione e l’ossequio della preghiera quotidiana presso i sacri luoghi della Timpa Caruta (mi accontenterei di un paio d’ore al giorno, da parte di ogni fedele, a discrezione individuale la dislocazione oraria); indurre gli architetti del mio meraviglioso regime del buon senso a una ristrutturazione generale di tutti i centri abitati, idealmente improntando la progettazione alla riproduzione – a immagine e somiglianza – della mirabilissima Patria avita di Cavalarica.

Come sopravvivere a tali circostanze di cattività intellettuale? Cosa faranno i miei amatissimi sudditi per difendersi dal cemento che dilaga e si propaga dalle mie munifiche mani? Gramsci scriveva di essere “pessimista con intelligenza, ottimista per volontà”. Riguardo l’intelligenza, necessaria per non scadere nei rivi ghiacciati dello sconforto, il nostro illustre compaesano di Scicli, il filosofo Valentino Gerratana, curatore dei Quaderni del Carcere per Einaudi, metteva in rilievo l’importanza del Fur Ewig goethiano nella riflessione di Gramsci. Lo sforzo del poeta tedesco era teso a cercare di fare qualcosa “per l’eternità” (traduzione più o meno letterale di Fur Ewig), tuttavia Gramsci opera una interpretazione più complessa, e Gerratana la segnala, anzi sottolineandola nel termine “disinteresse”, con disinteresse quindi: studio per lo studio non finalizzato all’applicazione pratica del dato momento storico (per cui, assodato che nell’immediato non si può arginare un fiume in piena, si configura uno studio destinato all’interesse futuro, o meglio di tutti i tempi futuri, cioè riferendolo all’eternità piuttosto che all’ormai pregiudicato immediato). Ci si chiede ancora oggi che senso avesse tutto ciò, precisamente, per il recluso intellettuale, in merito specificamente intenzionato ad approfondire un già sperimentato studio sulla questione meridionale, chiaramente questa volta Fur Ewig. In forza di tale ultimo tema indicato, converremo che non si trattava della prefigurazione di un disimpegno rassegnato di chi vede tutto perduto. Piuttosto mi viene in mente un passaggio dalle Lettere del Carcere, dove Gramsci si preoccupava della lettura troppo appassionata dei classici: “D’altronde chi legge Dante con amore? I professori rimminchioniti che si fanno delle religioni di un qualche poeta o scrittore e ne celebrano degli strani riti filologici. Io penso che una persona intelligente e moderna deve rileggere i classici in generale con un certo distacco, cioè solo per i loro valori estetici, mentre l’amore implica adesione al contenuto ideologico della poesia.” La Roma imperiale per Mussolini e i suoi accoliti è purtroppo risultata un macro-esempio di tali tipologie di funesta lettura appassionata. In conclusione è opportuno credere che l’intelligenza pessimista opererebbe con distacco di lettura critica – la critica della Ragion pura kantiana, per quel che è possibile immaginare, nella sua rinnovata veste materialista – e servirebbe da presupposto al necessario momento della volontà pratica risolutiva. Ne traggo, nella mia modesta ingenuità, una personale consolazione dinanzi alle vicende rappresentate all’inizio di questa pagina, e mi costringo alla interpretazione più asettica possibile dei fatti – non solo quelli passati, ma anche i contemporanei – per non perdermi d’animo nel personale travaglio di flaneur, a mio modo individualmente interessato all’impegno politico civile. Cavalarica, Fur Ewig!
Gaetano Celestre