antonino fava vincenzo garofaloNuova ordinanza di custodia cautelare è stata notificata a Rocco Santo Filippone boss calabrese legato alla potente famiglia Piromalli e Giuseppe Graviano capomafia del mandamento di Brancaccio a Palermo. Sono ritenuti i mandanti del duplice omicidio dei carabinieri Antonio Fava e Vincenzo Garofalo, uccisi nei pressi dello svincolo di Scilla il 18 gennaio 1994. Ai boss calabresi e siciliani vengono contestati anche altri due agguati in cui rimasero feriti altri quattro militari dell’Arma.

C’è dunque anche la mano della ’Ndrangheta calabrese dietro la strategia stragista ordita dalla mafia siciliana agli inizi degli anni Novanta. Sono due gli arresti eseguiti questa mattina dalla Polizia, nell’ambito dell’operazione «’Ndrangheta stragista», che ricostruisce una delle pagine più oscure della storia italiana.

Ordinanza di custodia cautelare notificata dunque a Rocco Santo Filippone e Giuseppe Graviano. Sono ritenuti i mandanti del duplice omicidio dei carabinieri Fava Garofalo, quest’ultimo sciclitano, di Donnalucata.

Per i magistrati della Dda di Reggio Calabria sarebbero tutti tasselli di un unico inquietante piano: un attacco ai rappresentanti dello Stato per sovvertire l’ordine repubblicano. Una strategia elaborata assieme ai vertici di Cosa Nostra. I pentiti hanno raccontato di almeno tre summit avvenuti in Calabria: uno in un resort del Vibonese e altri due a Oppido Mamertina nel reggino. In quegli incontri i corleonesi convinsero i vertici dei clan calabresi ad attaccare lo Stato. Il preludio alle cosiddette stragi continentali a Firenze, Roma e Milano. Gli attentati contro i carabinieri in Calabria, quindi, secondo inquirenti ed investigatori reggini, non vanno letti ciascuno in maniera singola ed isolata, ma vanno inseriti in un contesto di più ampio respiro e di carattere nazionale nell’ambito di un progetto criminale, la cui ideazione e realizzazione è maturata non all’interno delle cosche di ’ndrangheta, ma si è sviluppata attraverso la sinergia, la collaborazione e l’intesa di organizzazioni criminali, che avevano come obiettivo l’attuazione di un piano di destabilizzazione del Paese anche con modalità terroristiche.

Secondo le dichiarazioni del pentito siciliano Cesare Spatuzza furono proprio i calabresi ad “aprire le danze”: «Graviano – racconta Spatuzza – mi disse che dovevamo fare la nostra parte perché i calabresi si sono mossi uccidendo due carabinieri e anche noi dovevamo dare il nostro contributo. Il nostro compito era abbattere i carabinieri e quello era il luogo dove potevano essercene molti, almeno 100-150». Il riferimento è al fallito attentato che il 22 gennaio del ’94 avrebbe dovuto far esplodere due pullman di carabinieri allo stadio Olimpico, fallito solo per un malfunzionamento del telecomando.

L’Omicidio di Fava e Garofalo

Quel 18 Gennaio del ’94 lo sciclitano, di Donnalucata, Garofalo, avvisò la centrale che una macchina li seguiva: “Pronto, centrale? Volevamo segnalarvi che una macchina, sull’autostrada, ci sta seguendo. Proviamo a richiamarvi più tardi”. La voce dell’appuntato Vincenzo Garofalo arriva chiara in caserma. “Dateci notizie al più presto“, risponde il collega. Passano interminabili minuti nel silenzio. Della “Gazzella” non ci sono più tracce. Che cosa è successo? Un inferno.

Un inferno di fuoco, al quale hanno tentato disperatamente, quanto inutilmente, di sottrarsi. Garofalo e Fava solo all’ultimo istante si sarebbero resi conto di essere il bersaglio del commando della ‘Ndrangheta.

Garofalo e Fava sono morti all’istante, crivellati di colpi.

Hanno cercato di difendersi, hanno tentato la fuga, forse uno di loro ha risposto al fuoco. Per duecento metri (sono rimaste lunghe tracce di gomma sull’asfalto), con un disperato zig-zag hanno cercato di evitare la pioggia di proiettili. Ma il commando omicida ha avuto il sopravvento. Addirittura uno dei sicari, al termine della corsa, quando l’auto dei carabinieri si è bloccata, è sceso e da distanza ravvicinata ha sparato una raffica finale, un simbolico colpo di grazia come quello che i nazisti sparavano alla nuca delle loro vittime.

“E’ un massacro, è un massacro“, ripete con gli occhi lucidi il colonnello Massimo Cetola (padre dell’attuale Comandante dei Carabinieri di Modica), allora comandante provinciale dell’Arma, appena arrivò sul posto!