I giovani artisti di Scicli, personaggi tanto pieni di sé da rendere sterile tutto ciò di cui si occupano
- 26 Novembre 2014 - 5:25
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RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO una lettera aperta.
<< Ho una tematica che mi sta molto a cuore e di cui mi piace occuparmi quando ne ho la possibilità: i salottini intellettualoidi di Scicli.
Più che una tematica è un bersaglio immobile su cui mi piace sparare nell’attesa di una reazione di qualsiasi genere, ma fino a questo momento non è avvenuto nulla. Forse sono stato troppo morbido o forse devo cominciare a pensare che gli Intellettuali/pseudo-artisti sciclitani non sono altro che carcasse inermi. Ad ogni modo proverò a ridestare questi Lazzaroni dalla loro tomba. «Alzatevi e camminate!»
Tempo fa ho pensato che la prima parola che mi viene in mente quando rifletto sull’arte sciclitana e sui suoi artisti è «Onanismo», la mia perplessità verso le continue masturbazioni artistiche perpetrate nei meandri di questi salottini e poi propinate alla comunità come opere d’arte, va ben oltre la stereotipata polemica verso l’incomprensibilità dell’arte contemporanea.
Nel nostro paese sono presenti due generazione differenti di artisti: la vecchia guardia è quella del Gruppo di Scicli e del movimento culturale Vitaliano Brancati, movimento artistico nato in un periodo di placida serenità e composto da uomini che hanno dato lustro al nostro paese ma che ora, in questi tempi difficili, risultano, come dire, muti; la nuova generazione è invece celata in una coltre di nubi mistiche, una sorta di circolo esoterico che opera nel silenzio e nell’onanismo della loro arte. Se quello che contraddistingueva il Gruppo di Scicli era la «purezza di intenti» di cui parlava Guttuso, ciò che contraddistingue la nuova guardia artistica sciclitana è « l’autoreferenzialità dell’intenti», insomma personaggi tanto pieni di sé da rendere sterile tutto ciò di cui si occupano, moderni re Mida che trasformano l’arte in vuoti concetti. Non si capisce più se questi personaggi vogliano giocare a fare i filosofi esistenzialisti o se, prima o poi, si decideranno a svolgere il loro ruolo di artisti, non siamo più in un contesto come quello degli anni ’80 ed è bene che comprendano che la nostra città non ha bisogno di salotti ma di figure che sappiano scendere con i piedi per terra e combattere contro l’indifferenza delle persone.
Si dice spesso che il cambiamento parte dalla cultura, ma se questa cultura viene intesa come uno strumento per darsi delle arie è ovvio che le cose non cambieranno mai. Gli sciclitani hanno bisogno di schiaffi che li aiutino ad aprire le loro coscienze e non di capziosi indovinelli estetici, c’è bisogno di contrastare l’incertezza e l’instabilità che contraddistinguono il nostro Tempo e in piccolo la nostra città; Scicli non è una bomboniera è un paese che sta vivendo una crisi politica che non può essere ignorata. Cosa ne pensano gli artisti sciclitani del centro d’accoglienza? Qual è la loro opinione in merito alle polemiche che si sono create intorno alla chiusura del Cinema Teatro Italia? Hanno qualcosa da dire riguardo alla crisi istituzionale dentro le aule del Comune oppure sono troppo impegnati a stringere i loro rapporti con Don Camillo? In definitiva la domanda che voglio porre è : Cosa vi sentite di essere o cosa vorreste essere per la città di Scicli?
In epoche di crisi gli artisti e gli intellettuali sono chiamati a prendere una posizione e non possono lasciare che il loro posto venga preso da demagoghi e parolai senza frontiere.
La storia è piena di polemiche e dibattiti sull’arte e sul ruolo che gli artisti hanno o dovrebbero avere all’interno della società. Nella mia personale visione l’artista è uno spirito sensibile, un individuo dotato di un animo-spugna che assorbe gli stimoli esterni della realtà per poi rigettarli fuori sotto una nuova forma: l’opera d’arte. L’artista è una porta attraverso cui l’Arte riesce a concretizzarsi materialmente davanti ai nostri occhi; il suo ruolo all’interno della società non ha direttamente a che vedere con la politica, la società o le questioni di ordine economico, l’arte deve essere lasciata libera di esprimersi come meglio crede e di muoversi nella società secondo le sue esigenze, senza che venga normata dalle istituzioni e da chi detiene il potere. Questo in tempi di serenità. In epoche critiche l’artista non ha più diritto al suo angolo lontano dal mondo ma deve tornare con i piedi per terra e contribuire a recuperare la serenità della collettività. Ho profondo rispetto per l’Arte ma la mia stima va a quegli artisti degni di questo nome e non a chi pretende di esserlo senza mettersi effettivamente in gioco con la realtà in cui vive >>.
Giovanni Padua, studente universitario sciclitano
Gaetano Celestre
Carissimo, buon pomeriggio. Le dico subito che il mio commento non è dovuto a una sorta di senso di appartenenza alla “corporazione” degli artisti o degli intellettuali, semmai tendenzialmente potrei definirmi un appassionato cultore dell’onanismo cerebrale fine alla mera discussione senza scopo. Perché? Perché non mi fido della “speranza”, non coltivo la presunzione di aver ragione e non mi interessa averne. Sono tuttavia convinto di essere tra i rappresentanti più o meno coscienti di questa odierna società del disinteresse. Intendo dire, ho piena consapevolezza dell’inconsistenza del “fare”, che persino quando produce utilità positiva, ha quale conseguenza ultima il mantenimento del sistema non-etico. Dunque, alla fine, potrei essere portato a pensare che l’ultimo terreno di dibattito sia quello puramente estetico (non quello estetico dei formalismi celanti secondi fini, così utile negli ambiti politici). È un discorso ottimistico il mio: parliamone, anche senza alcuno scopo, utilitarista, ma parliamone. Sa perché possiamo solo parlare di come vorremmo il mondo? Le dirò una cosa di cui sono piuttosto convinto: i vecchi rappresentanti delle corporazioni artistiche, come quelle politiche, detengono ancora il possesso dei mezzi di comunicazione essenziale. E sono tutti in stabile relazione tra loro. Perché dovrebbero cedere il campo? Lei crede alla filantropia? In fin dei conti anche il sistema “carità” del mondo cattolico, per molti si fonda sempre sullo scambio escatologico (che sia poi questa o meno l’idea teologica di fondo, è l’eventuale equivoco ad assumere rilevanza tra noi terricoli). Non travisi poi, anche chi è giovane d’età molto spesso è rappresentante di una vecchia generazione, più spesso di quanto si creda. Lei ha ragione, sostanzialmente, ma la invito – mi permetto a farlo, con modestia mi creda – a guardare con maggiore attenzione alla verità di questa statica società, non cadendo nella falsa illusione pseudo-grillina del darsi da fare per forza (non nego di essere rimasto affascinato anch’io da simili deleterie idee, in passato). Il darsi da fare, se non supportato da idee condivise, ha scarsa incidenza sulla realtà storica. Fa bene a scuotere quelle corporazioni – di cui, ripeto, non faccio parte – qualcuno deve pur farlo. Ma agisca anche lei (senza fini d’utilità, s’intende). Le scrivo da studente universitario a tempo indeterminato: nel fine settimana passeggi in piazza, discuta, insomma perda tempo in giro anche bighellonando. Da cosa nasce cosa. E poi le utilità lasciamole agli sfruttatori, agli speculatori, avviciniamoci all’idea, incidentale, che conduce alla piacevolezza della Convivialità. Mi scusi, commento troppo lungo. Ma sa, mi piace chiacchierare. Saluti
Giovanni Padua
Caro sign. Celestre,
la ringrazio per il commento molto interessante a cui tenterò di rispondere nella maniera più esaustiva possibile.
Anche io sono una persona che, come lei, si ritiene un cultore “dell’onanismo cerebrale fino alla mera discussione senza scopo” e in generale di tutti quegli aspetti che riguardano il “non-fare”. Sono tuttavia consapevole che esistono due tipi di “non-fare”: il “non-fare” affermativo e il “non-fare” contro-sociale. Il non-fare affermativo è proprio di quell’Arte che si muove all’interno della sua sfera comunicativa ma che riesce ad essere incisiva a tal punto da produrre effetti nella realtà riuscendo a scuoterla; quando l’Arte si rivolge a se’ stessa, quando si specchia nella pozzanghera compiacendosi del suo riflesso, diventa Narcisismo estetico e perde completamente la sua funzione sociale rinunciando a tradurre in positivo gli effetti del suo “non-fare”. E’ ovvio che nella lettera, gli artisti di cui parlo si muovono nella cornice del “non-fare” contro-sociale. Quindi la mia critica, come lei può capire, tiene in grandissimo conto il “Non-fare” estetico ed è proprio per questo motivo che non ritengo di essere caduto nella “falsa illusione pseudo-grillina del darsi da fare per forza” di cui parla nell’articolo. Non sono un fanatico grillino che pretende di mettere bocca su tutto senza riconoscere i propri limiti e lo conferma il fatto che ho steso una lode di ciò che è l’arte e di quali sono le sue libertà rispetto alla sfera politica, sociale ed economica.
Non credo alla filantropia e sono consapevole che chi detiene un potere ( in questo caso lei parlava del possesso dei mezzi di comunicazione) difficilmente sarà indotto a lasciare il posto vacante. Questa analisi non deve però essere una scusa o un motivo di resa, anzi, lei stesso si è risposto benissimo quando parla del fatto che molti giovani nascondono in realtà uno spirito vecchio, vecchissimo. Se tra le file dei giovani come noi combattono “spiriti vecchi” (e con spiriti vecchi intendo “spiriti affaristi”) è ovvio che la lotta non produce cambiamento ma si configura esclusivamente come un replicare le stesse dinamiche che intendeva modificare. La domanda “Cosa vi sentite di essere per il vostro Paese?” questa volta non è stato rivolta da un anziano ai più giovani ma da un giovanissimo come me che è stanco di vedere l’erbaccia nel suo giardino; questo dovrebbe fare riflettere chi di dovere. Da parte mia, le assicuro che le utilità le lascio agli affaristi, i secondi fini ai ratti e le briciole ai maiali. In nome della Convivialità pretendo che al tavolo comune si siedano gli spiriti virtuosi (virtù in senso rinascimentale) e non accattoni estetici e buffoni di corte.
Spero in una sua risposta, a presto.
Gaetano Celestre
Ineccepibile. Come già dicevamo in altro luogo internettiano, del resto. Ribadisco poi l’invito a finiraccilla cco “lei”. E ovviamente, preciso ancora una volta, il mio commento era rivolto a te ma non solo a te. Intendiamoci, non conosco la tua storia ideologica, di altri sì, dunque l’occasione era ghiotta per dibattere sul punto. Vediamo che succede ora. Forse non tantissimo, ma perlomeno io e te ne stiamo parlando. Che dici?
Giovanni Padua
Si, ovviamente è lecito lasciare a chi di interesse il tempo necessario per riflettere e rispondere. Di sicuro la Lettera è da considerarsi un inizio, non ho di certo intenzione di lasciare in pace i “morti” 🙂
luana
concordo in pieno con Il Sig Padua. Bravo
angelo
Sciclitano/Lazzarone/intellettuale/pseudo artista/ ex rappresentante d’istituto/carcassa inerme/studente di filosofia/onanista/masturbatore artistico/capzioso e, visto il tuo forbito e poliedrico vocabolario, arrichisciti a piacere:
https://www.youtube.com/watch?v=gjI7BZbqzng
Giovanni Padua
Caro Angelo (purtroppo non conosco il cognome),
La natura del tuo commento è molto dubbia come del resto lo è la tua figura al limite dell’anonimato; sicuramente volevi essere sarcastico ma non capisco perchè hai preferito concentrarti sul mio forbito e poliedrico vocabolario piuttosto che sull’argomento della lettera da me pubblicata. Mancanza di argomenti? Solidarietà verso gli pseudoartisti? Chi lo sa… Oh angelo, angelo, angelo.
ps: a parte a cugghiuniata, paz! mi piace tantissimo quando poi ti riveli magari se ne può discutere davanti ad un caffè 😉
cittadino abbandonato
Il cambiamento arriva in un primo momento nella cultura materiale(della tecnologia, degli oggetti e dei loro processi immediati di produzione e d’uso). Secondo la teoria di Ogburn i mutamenti che avvengono nella cultura non materiale si sviluppano più lentamente di quelli della cultura materiale; la gente fa prima ad accettare nuovi prodotti materiali che ad adottare nuove norme e nuovi valori. Per cambiamenti nella cultura non materiale intendiamo (cambiamenti nel campo delle idee, dell’arte, della religione, dei costumi, degli ordinamenti sociali, della filosofia).
In pratica la gente fa prima ad accettare nuovi prodotti materiali che ad adottare nuove norme e nuovi valori.
I motivi per cui certi aspetti della cultura non materiale non mutano con la stessa rapidità di quelli della cultura materiale sono i più vari: possono essere dovuti all’opposizione offerta ai cambiamenti da coloro che hanno acquisito particolari interessi; possono dipendere dall’abitudine, che causa lentezza nei mutamenti, oppure dalla forza di resistenza fornita dalla tradizione, che provoca timore nei cambiamenti. Adesso una domanda sorge spontanea: perchè chiedi ai portatori del cultural lag un cambiamento?
Giovanni Padua
La teoria di Ogburn è una speculazione che rientra nel campo della Sociologia e dell’antropologia, per quanto ne condivido l’analisi, il mio ragionamento è molto più spicciolo visto e considerato che è da contestualizzare all’interno della realtà Scicli. Caro cittadino abbandonato io non chiedo un cambiamento ai portatori del “cultural lag”, la mia richiesta è semplice: perché l’ambiente intellettuale di Scicli ( sia giovani che meno giovani) non esprime mai la sua opinione sui problemi della città? Non credo che sia un timore scaturito dalla resistenza della “tradizione”, penso più che altro che molti giovani abbiano dentro un “animo” vecchio e affarista e che si siano adattati completamente alle “logiche di paese”. Nel tuo commento hai detto qualcosa di molto interessante e che spiega molto bene il mio punto di vista:”I motivi per cui certi aspetti della cultura non materiale non mutano con la stessa rapidità di quelli della cultura materiale sono i più vari: possono essere dovuti all’opposizione offerta ai cambiamenti da coloro che hanno acquisito particolari interessi”. Nella lettera avevo posto agli intellettuali/artisti tre semplici domande: la loro opinione riguardo la polemica sul centro d’accoglienza e sull’integrazione, cosa ne pensano della chiusura di un importante simbolo culturale di Scicli, ovvero il Cinema teatro Italia e infine come si pongono difronte alla crisi politica che sta investendo il nostro comune. Ad oggi non ho ricevuto risposte e comincio seriamente a pensare che i diretti interessati non abbiano intenzione di esprimersi per non rompere certi equilibri che evidentemente fruttano qualcosa.