RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO una lettera aperta.

<< Ho una tematica che mi sta molto a cuore e di cui mi piace occuparmi quando ne ho la possibilità: i salottini intellettualoidi di Scicli.

Più che una tematica è un bersaglio immobile su cui mi piace sparare nell’attesa di una reazione di qualsiasi genere, ma fino a questo momento non è avvenuto nulla. Forse sono stato troppo morbido o forse devo cominciare a pensare che gli Intellettuali/pseudo-artisti sciclitani non sono altro che carcasse inermi. Ad ogni modo proverò a ridestare questi Lazzaroni dalla loro tomba. «Alzatevi e camminate!»

Tempo fa ho pensato che la prima parola che mi viene in mente quando rifletto sull’arte sciclitana e sui suoi artisti è «Onanismo», la mia perplessità verso le continue masturbazioni artistiche perpetrate nei meandri di questi salottini e poi propinate alla comunità come opere d’arte, va ben oltre la stereotipata polemica verso l’incomprensibilità dell’arte contemporanea.

Nel nostro paese sono presenti due generazione differenti di artisti: la vecchia guardia è quella del Gruppo di Scicli e del movimento culturale Vitaliano Brancati, movimento artistico nato in un periodo di placida serenità e composto da uomini che hanno dato lustro al nostro paese ma che ora, in questi tempi difficili, risultano, come dire, muti; la nuova generazione è invece celata in una coltre di nubi mistiche, una sorta di circolo esoterico che opera nel silenzio e nell’onanismo della loro arte. Se quello che contraddistingueva il Gruppo di Scicli era la «purezza di intenti» di cui parlava Guttuso, ciò che contraddistingue la nuova guardia artistica sciclitana è « l’autoreferenzialità dell’intenti», insomma personaggi tanto pieni di sé da rendere sterile tutto ciò di cui si occupano, moderni re Mida che trasformano l’arte in vuoti concetti. Non si capisce più se questi personaggi vogliano giocare a fare i filosofi esistenzialisti o se, prima o poi, si decideranno a svolgere il loro ruolo di artisti, non siamo più in un contesto come quello degli anni ’80 ed è bene che comprendano che la nostra città non ha bisogno di salotti ma di figure che sappiano scendere con i piedi per terra e combattere contro l’indifferenza delle persone.

Si dice spesso che il cambiamento parte dalla cultura, ma se questa cultura viene intesa come uno strumento per darsi delle arie è ovvio che le cose non cambieranno mai. Gli sciclitani hanno bisogno di schiaffi che li aiutino ad aprire le loro coscienze e non di capziosi indovinelli estetici, c’è bisogno di contrastare l’incertezza e l’instabilità che contraddistinguono il nostro Tempo e in piccolo la nostra città; Scicli non è una bomboniera è un paese che sta vivendo una crisi politica che non può essere ignorata. Cosa ne pensano gli artisti sciclitani del centro d’accoglienza? Qual è la loro opinione in merito alle polemiche che si sono create intorno alla chiusura del Cinema Teatro Italia? Hanno qualcosa da dire riguardo alla crisi istituzionale dentro le aule del Comune oppure sono troppo impegnati a stringere i loro rapporti con Don Camillo? In definitiva la domanda che voglio porre è : Cosa vi sentite di essere o cosa vorreste essere per la città di Scicli?
In epoche di crisi gli artisti e gli intellettuali sono chiamati a prendere una posizione e non possono lasciare che il loro posto venga preso da demagoghi e parolai senza frontiere.

La storia è piena di polemiche e dibattiti sull’arte e sul ruolo che gli artisti hanno o dovrebbero avere all’interno della società. Nella mia personale visione l’artista è uno spirito sensibile, un individuo dotato di un animo-spugna che assorbe gli stimoli esterni della realtà per poi rigettarli fuori sotto una nuova forma: l’opera d’arte. L’artista è una porta attraverso cui l’Arte riesce a concretizzarsi materialmente davanti ai nostri occhi; il suo ruolo all’interno della società non ha direttamente a che vedere con la politica, la società o le questioni di ordine economico, l’arte deve essere lasciata libera di esprimersi come meglio crede e di muoversi nella società secondo le sue esigenze, senza che venga normata dalle istituzioni e da chi detiene il potere. Questo in tempi di serenità. In epoche critiche l’artista non ha più diritto al suo angolo lontano dal mondo ma deve tornare con i piedi per terra e contribuire a recuperare la serenità della collettività. Ho profondo rispetto per l’Arte ma la mia stima va a quegli artisti degni di questo nome e non a chi pretende di esserlo senza mettersi effettivamente in gioco con la realtà in cui vive >>.

Giovanni Padua, studente universitario sciclitano