Ha avuto un tono commosso, più commosso del solito, la cerimonia commemorativa della morte dei carabinieri Vincenzo Garofalo e Antonino Fava, stamani a Donnalucata.

Nel 25esimo dalla morte, avvenuta per mano della ‘Ndragheta, in Calabria, il colonnello Federico Reginato, che oggi è a capo dei militari dell’Arma in provincia di Ragusa, ha ricordato come a Bologna si sia trovato di fronte l’autore dell’assassino, reo confesso e collaboratore di giustizia. Un’esperienza dolorosa, che ha messo a dura prova il senso del distacco con cui bisogna vivere, da organo inquirente, l’approccio umano con l’autore di un reato.

Il Colonnello Reginato ha annunciato oggi che è stata avviata la procedura amministrativa con cui la caserma dei carabinieri di Donnalucata sarà intitolata al donnalucatese Enzo Garofalo, che oggi riposa nel cimitero di Scicli.

Commosso anche il ricordo del sindaco Enzo Giannone: “Diversi tra voi ricorderanno che  nel 1994 ero un giovane assessore a fianco del sindaco Pino Lonatica. Ricordo ancora il viaggio in Calabria, il senso della tragedia che ci pervase. Oggi agli studenti che partecipano a questa cerimonia dico che non vi è altra strada, se non quella della giustizia e delle legalità”.




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L’omicidio dell’appuntato Antonino Fava e del carabiniere Vincenzo Garofalo è stato ricordato anche nel corso di un’iniziativa ospitata nella Scuola allievi carabinieri di Reggio Calabria (foto a lato).

Presente all’iniziativa anche il Procuratore di Reggio, Giovanni Bombardieri il Procuratore Generale Bernardo Petralia e il Comandante Generale dell’arma dei Carabinieri  Giovanni Nistri.

In particolare Bombardieri ha parlato di «tre efferati attacchi per un unico disegno eversivo» facendo riferimento, oltre agli omicidi di Fava e Garofalo, anche agli attentati del primo dicembre 1993 all’appuntato Silvio Ricciardi e al carabiniere Vincenzo Pasqua, e all’agguato del primo febbraio 1994 contro una seconda pattuglia del nucleo radiomobile composta dal brigadiere Salvatore Serra e dall’appuntato Bartolomeo Musicò, che scamparono miracolosamente alla morte.

Esiste una lotta silenziosa che i nostri uomini dell’Arma portano avanti, ogni istante, con il loro lavoro mettendo a rischio la loro stessa vita – è stato detto durante l’iniziativa -. Oggi a Scilla in tantissimi hanno ricordato, 25 anni dopo la loro morte, i due Carabinieri Fava e Garofalo assassinati brutalmente da chi all’ora come oggi, pensa di poter soffocare il nostro paese. Un ricordo da tenere vivo e che nessuno potrà mai spegnere. Il sacrificio dei due militari non sarà vano perché il loro esempio continuerà a infondere la speranza che i criminali non vinceranno mai.

 

IL FATTO

Una trappola mortale per due carabinieri uccisi da un commando mafioso in provincia di Reggio Calabria. Si chiamavano Vincenzo Garofalo e Antonino Fava, 31 e 36 anni, entrambi sposati, due figli il primo, tre il secondo. I due, entrambi appuntati, originari rispettivamente di Scicli in provincia di Ragusa e di Taurianova, nel Reggino, erano in servizio al Nucleo Radiomobile della Compagnia di Palmi. Sono stati crivellati a colpi di mitraglietta calibro nove e kalashnikov.

“Pronto, centrale? Volevamo segnalarvi che una macchina, sull’autostrada, ci sta seguendo. Proviamo a richiamarvi più tardi”. La voce dell’appuntato Vincenzo Garofalo arriva chiara in caserma. “Dateci notizie al più presto”, risponde il collega. Passano interminabili minuti nel silenzio. Della “Gazzella” non ci sono più tracce. Che cosa è successo? Un inferno.

Un inferno di fuoco, al quale hanno tentato disperatamente, quanto inutilmente, di sottrarsi. Garofalo e Fava erano sulla “Gazzella” e solo all’ultimo istante si sarebbero resi conto di essere il bersaglio del commando della ‘ Ndrangheta.   Garofalo e Fava sono morti all’ istante.

Hanno cercato di difendersi, hanno tentato la fuga, forse uno di loro ha risposto al fuoco. Per duecento metri (sono rimaste lunghe tracce di gomma sull’ asfalto), con un disperato zig-zag hanno cercato di evitare la pioggia di proiettili. Ma il commando omicida ha avuto il sopravvento. Addirittura uno dei sicari, al termine della corsa, quando l’auto dei carabinieri si è bloccata, è sceso e da distanza ravvicinata ha sparato una raffica finale, un simbolico colpo di grazia come quello che i nazisti sparavano alla nuca delle loro vittime.

“E’ un massacro, è un massacro”, ripete con gli occhi lucidi il colonnello Massimo Cetola, allora comandante provinciale dell’Arma, una volta giunto sul posto.