23 Maggio 1992 – 23 Maggio 2016. La speranza che qualcosa cambi
- 23 Maggio 2016 - 14:26
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di Viviana Sammito
Il 23 maggio è una data incancellabile per gli italiani. La memoria della strage di Capaci – a cui seguì la barbarie di via D’Amelio in una rapida quanto disumana sequela criminale – è iscritta con tratti forti nella storia della Repubblica e fa parte del nostro stesso senso civico”. Lo scrive il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in un messaggio inviato a Maria Falcone, presidente della Fondazione Giovanni e Francesca Falcone.
Questa è la foto che ci riporta indietro di 24 anni, con il dolore ma anche con la speranza. Speranza che qualcosa cambi, con il tempo. Anche se già a distanza di 24 anni la mafia continua a esistere e resistere, ha tentato di rialzare la testa ma la lotta alla mafia è sempre più forte. Più di prima.
23 maggio 1992: una data che nessuno dimentica, perché è una data che ha cambiato la storia del paese. Era pomeriggio quando il giudice antimafia Giovanni Falcone atterra a Punta Raisi, su un volo da Roma. Lo attendono la moglie Francesca Morvillo, la scorta: Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro. Cosa Nostra, che piazza 500 kg di tritolo due settimane prima dell’attentato, conosce i movimenti del magistrato. Le Fiat Croma e la Thema blindate imboccano con sirena e lampeggianti l’autostrada A2 verso Palermo. Al volante di una delle auto c’è Falcone, accanto a lui la moglie e dietro l’autista Giuseppe Costanza. Erano gli anni di Tangentopoli: degli attentati a Firenze, a Roma e a Milano, dell’uccisione di Salvo Lima. Falcone era già stato condannato a morte dopo che le condanne del maxiprocesso alla mafia nell’aula bunker di Palermo erano state confermate.
Falcone, uno dei protagonisti della stagione del processo, paga il prezzo del 41 bis: sei minuti dopo dall’uscita della scorta dall’aeroporto avviene l’esplosione sul cavalcavia. Giovanni Brusca, appostato sulla collina di fronte all’autostrada pigia il pulsante, avviene la deflagrazione che ha cambiato la storia dell’Italia. Muoiono gli agenti di scorta Vito Schifano, Antonio Montinari e Rocco Dicillo. L’auto guidata da Giovanni Falcone si schianta nel cratere profondo oltre un metro scavato dalla bomba. Il motore della Croma lo investe, la moglie Francesca è riversa sul cruscotto. L’autista Giuseppe Costanza è ferito, così come gli agenti della terza auto e altre 20 persone coinvolte nell’esplosione mentre transitavano sull’autostrada. Giovanni Falcone e Francesca Morvillo muoiono un’ora dopo in ospedale. Il 25 maggio i funerali al duomo di Palermo. 55 giorni dopo la mafia uccide il magistrato Paolo Borsellino.
“Io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, però, se avete il coraggio… di cambiare… loro non cambiano”.
Le parole di Rosaria Costa, vedova di Vito Schifani, il poliziotto della scorta di Giovanni Falcone e di sua moglie Francesca Morvillo, rompono il silenzio e segnano una delle pagine più significative della storia italiana nella lotta alla mafia. Il potere del perdono, la forza di riscatto per il cambiamento hanno contribuito a scrivere un’altra bella pagina della lotta alla mafia…che nella riorganizzazione, prova a colpire, senza riuscirci.
Enzo Gulino
Speranza (forse) perduta: Percorrevo quel sabato pomeriggio Corso Canalchiaro in Modena tornando a casa dopo la passeggiata pomeridiana in centro quando da un locale commerciale trapelò la triste notizia; in un batter d’occhio raggiunsi casa accendendo la Tv (che tenni accesa fino al Lunedì assistendo ai funerali in diretta con le lacrime agli occhi) per avere conferma di quanto avevo carpito. Dalle notizie che man mano trapelavano avevo subito capito che lo Stato ancora una volta soccombeva nei confronti della delinquenza organizzata (mafia, nel caso) e pensai subito che Borsellino era rimasto scoperto: così fu. Sappiamo come sono andate le cose da lì a poco meno di due mesi di distanza, stavolta mi trovavo a Scicli al mare (località di villeggiatura) a trascorrere le agognate ferie. Falcone e Borsellino non sono stati gli unici rappresentanti dello Stato a cadere sotto i colpi delle armi mafiose (compresa l’omertà): la lista è lunga e chissà quando potrà terminare e se mai ci sarà un termine. La cosa che più mi dà fastidio è che si organizzano tante manifestazione in nome della Legalità nella speranza di costruire nuove coscienze, ma, siamo lontani (loro non cambiano)dalla meta anche se qualche piccolo risultato lo si porta a casa; girano forti interessi economici attorno, basta guardare all’attentato fallito in questi giorni al Presidente del parco Madonie-Nebrodi in provincia di Messina. Bisogna tenere molto alta la guardia e soprattutto bisogna praticare più che predicare in nome di questa bella parola che è LA LEGALITA’.